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Il Ring del Capitale


27 Ago , 2024|
| 2024 | Visioni

In una società capitalista, gli stereotipi di genere e i ruoli tradizionali vengono perpetrati e amplificati anche nello sport, dove le atlete sono spesso giudicate non solo per le loro prestazioni, ma anche in base a standard di femminilità imposti. Questa dinamica riflette come il capitalismo utilizzi e rafforzi le disuguaglianze di genere per mantenere un sistema che massimizza il profitto attraverso la mercificazione di corpi e identità.  I corpi sono frequentemente valutati non solo per le loro abilità sportive, ma anche per la loro aderenza a ideali “estetici di consumo” che sono culturalmente e storicamente costruiti. Questi standard includono aspetti legati all’apparenza fisica, come la bellezza, l’eleganza, e la delicatezza, che spesso vengono enfatizzati a scapito delle qualità atletiche come la forza, l’aggressività, e la resistenza, caratteristiche più tradizionalmente associate alla mascolinità. I corpi che si allontanano da questi standard possono essere soggetti a critiche o essere visti come “meno femminili” o “effeminati”. Questo crea una pressione aggiuntiva verso gli atleti e atlete nello sport, che devono non solo eccellere nelle loro discipline, ma anche conformarsi a ruoli di genere che potrebbero non riflettere la loro identità o il loro stile di vita. In un sistema capitalista, il corpo è spesso trattato come un prodotto da vendere. I corpi vengono trattati come merci, il cui valore è determinato non solo dalle loro abilità sportive, ma anche dalla loro capacità di generare entrate attraverso la vendita di biglietti, la pubblicità e il merchandising. In questo processo, le prestazioni sportive vengono ridotte a un elemento di spettacolo, progettato per soddisfare le esigenze del mercato. L’estetismo moderno, inteso come la tendenza a valorizzare l’aspetto esteriore e l’immagine al di sopra di ogni altra considerazione, rappresenta un fenomeno profondamente radicato nella logica capitalistica. Questo fenomeno può essere interpretato alla luce del concetto marxiano di feticismo delle merci, secondo cui il valore di un oggetto (o di una persona) viene ridotto al suo valore di scambio, oscurando il suo valore d’uso e la sua reale essenza. Marx descrive il feticismo delle merci come un processo attraverso il quale le relazioni sociali tra le persone si mascherano da relazioni tra cose. Nel contesto del capitalismo, le merci assumono una sorta di vita propria, diventando simboli di status e potere, distaccandosi dalla loro funzione pratica. Questo feticismo si estende oggi all’estetismo, dove l’apparenza esteriore diventa un valore in sé, spesso svincolato dalla realtà materiale o dall’utilità pratica.

Nella società contemporanea, l’estetismo è diventato un feticcio. Il suo valore non risiede più semplicemente nella bellezza o nella piacevolezza visiva, ma nel modo in cui esso può essere scambiato, commercializzato e consumato. L’estetismo, quindi, assume una funzione simile a quella di una merce: non è solo un attributo dell’oggetto o della persona, ma diventa una parte integrante del suo valore economico e sociale. Nel contesto sportivo, l’estetizzazione è evidente nella crescente enfasi sull’immagine degli atleti e delle atlete. Questi ultimi non sono più valutati solo per le loro capacità agonistiche, ma anche per il loro aspetto fisico, lo stile personale e la capacità di incarnare ideali estetici imposti dal mercato. I corpi sportivi vengono trasformati in oggetti estetici, dove la loro immagine diventa un bene commerciale. Il loro successo non dipende solo dalle prestazioni sportive, ma anche dalla capacità di incarnare un ideale di bellezza. Questa estetica viene sfruttata dall’industria della moda, del fitness e dai media, che trasformano l’immagine di questi corpi in un feticcio. Diventano così una merce il cui valore è determinato dalla sua estetica, oltre che dalle sue prestazioni.  I grandi eventi sportivi, come le Olimpiadi o i Mondiali di calcio, sono sempre più concepiti come spettacoli estetici. La competizione sportiva passa in secondo piano rispetto alla spettacolarizzazione dell’evento. Le cerimonie di apertura, le coreografie, gli stadi avveniristici, tutto contribuisce a creare un’esperienza estetica che diventa il vero prodotto da vendere. L’estetismo sfrenato dei nostri tempi, così come si riflette nello sport, non è semplicemente un’evoluzione naturale della cultura, ma piuttosto un’espressione delle dinamiche del capitalismo, che trasforma tutto in merce, inclusa l’estetica stessa. In questo contesto, il feticismo delle merci si manifesta nella trasformazione dei corpi sportivi in oggetti estetici, che servono più a soddisfare le esigenze del mercato che a preservare il loro valore intrinseco. Nel contesto del capitalismo avanzato, il corpo umano non è più semplicemente un veicolo per l’espressione individuale o per l’attività fisica, ma diventa un oggetto di valore economico. Questo processo è noto come commodizzazione del corpo, il corpo dell’atleta viene trattato come una merce da vendere, manipolare e consumare. La commodizzazione del corpo degli atleti si manifesta anche attraverso la crescente pressione a conformarsi a determinati ideali estetici. In una società dominata dai media e dalla cultura dell’immagine, agli atleti non è richiesto solo di eccellere nelle loro discipline, ma anche di rappresentare un modello estetico che rispecchia gli ideali di bellezza imposti dal mercato.

I media svolgono un ruolo cruciale nella diffusione di questi ideali estetici. Attraverso la pubblicizzazione di corpi atletici “perfetti”, i media creano una domanda di conformità estetica non solo tra gli atleti, ma anche tra il pubblico in generale. Questa pressione estetica diventa una forma di controllo sociale, dove il corpo viene disciplinato e regolato per soddisfare le aspettative del mercato. La commodizzazione del corpo degli atleti porta a un processo di alienazione, in cui il corpo viene distaccato dalla persona e ridotto a un semplice oggetto di valore economico. Questa alienazione è doppia: da un lato, l’atleta è alienato dal proprio corpo, che viene manipolato e controllato per soddisfare le esigenze del mercato; dall’altro, il pubblico è alienato dalla vera natura dello sport, che diventa un teatro per la spettacolarizzazione del corpo piuttosto che una celebrazione della performance umana. In questa prospettiva, il corpo dell’atleta non è più un’entità autonoma, ma un prodotto da vendere e consumare. Come diceva Gilles Deluze: “On n’échappe pas de la machine”, ossia “non si sfugge alla macchina”. La sfida, quindi, è riconoscere e resistere a questa tendenza, promuovendo un approccio allo sport che valorizzi l’atleta come persona, piuttosto che come merce. Questo processo di mercificazione riduce la complessità delle loro esperienze e lotte personali a semplici spettacoli per il divertimento di massa. La narrazione commerciale e la spettacolarizzazione distorcono la realtà dello sport, relegando le atlete a ruoli di intrattenimento piuttosto che riconoscere il valore e la profondità delle loro vere esperienze. Per recuperare una visione più autentica dello sport, è fondamentale riconoscere e resistere a questa riduzione, promuovendo una comprensione più profonda e rispettosa delle atlete e delle loro storie.

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