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La guerra spiegata ai poveri di Ennio Flaiano


9 Set , 2024|
| 2024 | Recensioni

L’opera teatrale di Ennio Flaiano, La guerra spiegata ai poveri, è un testo che sfida l’intelletto e l’animo, imponendo una riflessione profonda sull’assurdità del conflitto umano e sulle dinamiche di potere che lo generano. Pubblicato nel 1946, a ridosso della fine della Seconda guerra mondiale, questo dramma unisce una critica feroce e sferzante all’assurdità della guerra con una struttura narrativa che attinge tanto alla tradizione teatrale quanto all’avanguardia dell’assurdo. Flaiano, scrittore dalla penna raffinata e dall’ironia mordace, imbastisce una satira che si nutre della tragicità stessa della realtà storica per demolirla, mostrando quanto poco senso possano avere le azioni umane in contesti di violenza collettiva.

La guerra spiegata ai poveri si apre con un prologo che già racchiude in sé tutto lo spirito beffardo e critico dell’opera. Il generale, figura emblematica del potere e della cecità istituzionalizzata, si rivolge a un gruppo di poveri promettendo di “spiegare la guerra“, quasi volesse offrir loro una chiave di comprensione per un fenomeno che, in realtà, non ha logica. Questo atto stesso di spiegazione è carico di contraddizioni, poiché, come afferma il generale: “La guerra non si capisce, si fa“. In questa battuta risuona l’intera poetica dell’opera: la guerra non è oggetto di comprensione razionale, ma è piuttosto un evento che sfugge alle categorie logiche e alle leggi morali.

Il generale, con la sua retorica vuota e ipocrita, incarna la figura del potere che promette risposte senza darne, manipolando la folla dei poveri con discorsi solenni ma intrinsecamente privi di significato. “Non preoccupatevi di capire” afferma con tono paternalistico, “basta che seguiate gli ordini.” Flaiano si diverte a smontare la retorica bellica, mostrando quanto essa sia destinata a circuire i più deboli, promettendo gloria e onore a chi è, in realtà, solo merce da sacrificare sull’altare della distruzione. La distanza tra chi la guerra la progetta e chi la subisce emerge con brutalità: “La guerra è utile, soprattutto per chi non vi partecipa. A voi poveri lasciamo la gloria, noi ci accontentiamo dei profitti.

Il contrasto tra il linguaggio solenne del generale e la condizione disperata dei poveri genera un’atmosfera grottesca, che Flaiano sfrutta per criticare non solo la guerra in sé, ma l’intero apparato ideologico che la giustifica. I poveri, emblema del popolo vessato e schiacciato dai conflitti, vengono ingannati da una promessa vuota di comprensione e di partecipazione a un progetto più grande. Eppure, come suggerisce l’opera, “la guerra non è per voi: la guerra è degli altri“. Una realtà che rimane sempre inaccessibile e che i poveri sono destinati a subire senza poter mai comprenderne davvero le ragioni o i benefici. In tal modo, Flaiano anticipa una critica sociale che va oltre la guerra, estendendosi alla condizione generale delle classi oppresse, ingannate da un potere che le usa senza mai offrire loro una vera emancipazione.

I personaggi che popolano l’opera appaiono come figure tragicamente comiche, intrappolate in un mondo assurdo che non comprendono. Il generale stesso, pur essendo il simbolo del potere, è prigioniero di una retorica che si ripete stancamente, come un discorso vuoto che non riesce a risuonare in nessun cuore. “Non si muore per una causa, si muore per mancanza di alternative” afferma uno dei personaggi, evidenziando come la guerra sia presentata, non come una scelta consapevole o eroica, ma come l’inevitabile risultato dell’assenza di possibilità. Questa consapevolezza porta a un nichilismo diffuso che permea tutta l’opera, in cui l’assurdità della guerra diventa specchio dell’assurdità dell’esistenza umana stessa.

Il linguaggio di Flaiano è denso di aforismi taglienti che smascherano l’ipocrisia della guerra e di chi la promuove. “La guerra è una malattia, come il vaiolo. Non è mortale, ma lascia cicatrici“, afferma un personaggio, sintetizzando in una frase l’idea di una sofferenza collettiva che, sebbene non sempre letale, segna indelebilmente il corpo sociale. È evidente, in queste parole, il pessimismo flaianeo verso il destino dell’umanità, incapace di imparare dagli errori del passato. La guerra, in questo senso, non è solo una distruzione materiale, ma anche una cicatrice morale che segna profondamente la coscienza collettiva, rendendo impossibile un vero rinnovamento.

L’ironia dissacrante dell’autore emerge anche nei momenti in cui i personaggi cercano di dare un senso alla propria condizione. “Combatteremo fino all’ultimo povero!“, esclama uno dei soldati, ribaltando in modo grottesco l’idea del sacrificio eroico. In questa frase si cela tutta la tragicommedia dell’opera: i poveri, coloro che dovrebbero combattere per la gloria della patria, si trovano invece a essere consumati da un meccanismo di morte che non lascia loro alcuna possibilità di redenzione. È una condanna senza appello, in cui l’unico ruolo riservato ai più deboli è quello di vittime sacrificali in una partita di cui non conoscono né le regole né i giocatori.

Un altro passaggio cruciale dell’opera è quando il generale, ormai stanco delle sue stesse menzogne, confessa: “Non avete bisogno di capire, perché la guerra è il vostro destino. L’unico senso della guerra è che non ha senso.” Qui Flaiano spinge la sua critica all’estremo, negando non solo la possibilità di comprendere la guerra, ma la possibilità stessa di attribuirle un significato. La guerra, nell’universo flaianeo, è un meccanismo cieco e crudele, privo di una logica che lo possa giustificare, ma allo stesso tempo ineluttabile nella sua ciclica ripetitività.

L’intreccio dell’opera, volutamente frammentato e disordinato, riflette l’idea della guerra come caos. I dialoghi, spesso sconclusionati e carichi di ripetizioni, ricordano il teatro dell’assurdo di autori come Beckett o Ionesco. Tuttavia, Flaiano non si limita a riprendere l’incomunicabilità tipica di quel filone: la sua opera si arricchisce di una componente politica e sociale che rende la sua critica più incisiva e radicata nella realtà storica. “La guerra non risolve problemi, ne crea di nuovi“, sentenzia uno dei personaggi, suggerendo che ogni conflitto, anziché portare a una soluzione, è solo l’innesco di un altro ciclo di distruzione.

E proprio in questo risiede la grandezza di La guerra spiegata ai poveri: Flaiano riesce a fondere una riflessione profonda e disincantata sulla natura umana con una forma teatrale che sfrutta i registri dell’assurdo, del grottesco e del tragico-comico. Il risultato è un’opera che, pur nella sua apparente leggerezza, colpisce lo spettatore con una potenza inaspettata, portandolo a interrogarsi non solo sulla guerra, ma sul significato stesso della vita e dell’agire umano. “La pace è solo una parentesi tra due guerre“, afferma il generale con cinismo, riducendo ogni speranza di progresso a un semplice intervallo tra due momenti di violenza.

In conclusione, La guerra spiegata ai poveri è un’opera complessa e stratificata, che utilizza l’ironia e il paradosso per smascherare l’assurdità della guerra e la condizione di coloro che, pur essendo i più colpiti dal conflitto, non hanno alcun potere né comprensione di esso. Flaiano, con la sua penna tagliente, ci consegna una visione del mondo amara e disillusa, in cui la guerra è il simbolo di un’umanità incapace di sfuggire al proprio destino di violenza e autodistruzione. E come recita uno dei personaggi nell’opera: “La guerra è il trionfo dell’assurdo, dove l’unica spiegazione è che non ci sia spiegazione“.

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