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Il governo della pandemia. Uno sguardo critico

Il governo della pandemia. Uno sguardo critico, a cura di Gabriella Paolucci, pubblicato nel 2023 da Editoriale Scientifica, raccoglie i testi di alcune lezioni tenutesi alla Summer School, che è stata organizzata dall’Università di Firenze e si è svolta a Napoli dal 20 al 23 giugno 2022 presso la Fondazione Banco di Napoli e l’Istituto Italiano di Studi filosofici.
La rassegna, nella quale sono intervenuti docenti provenienti da diversi Atenei italiani, è stata dedicata alla disamina delle misure di governo adottate nel tempo pandemico da Covid19, con ‘sguardo critico’. La ricerca confluita negli atti contenuti ne Il governo della pandemia, infatti, si colloca tra le culture critiche che hanno inteso mettere in discussione i provvedimenti medico-sanitari, giuridici e politici del recente biennio pandemico. Il libro ha il pregio di evidenziare come, di fronte ad un fenomeno del tutto straordinario, siano state accantonate forme di critica, che, invece, soprattutto in quel frangente, sarebbero state indispensabili per avere un senso di comprensione e per vagliare empiricamente le proposte di soluzione per la salvaguardia della vita, senza per questo rinunciare alle più elementari libertà politiche ed assoggettarsi senza limiti e confini ai poteri governativi.
Infatti, a distanza ormai di qualche anno dalla fine dell’emergenza pandemica da Covid19, molti aspetti, di quanto effettivamente accaduto in quell’arco temporale, rimangono da enucleare, per giungere ad una chiarificazione, ad una collocazione storica, e ad una rielaborazione nella memoria collettiva. Un corpuscolo invisibile, dannoso e letale, ha provocato l’inimmaginabile sulla salute mentale e fisica degli umani, narrato quotidianamente con un linguaggio bellico (coprifuoco, confinamento, assembramento, etc.), attraverso immagini forti proiettate dai media, che hanno scatenato potenti emozioni di paura e rabbia senza precedenti, sfilacciamento e spaccatura delle relazioni sociali, ipertrofia informativa, intrisa di manipolazioni, annullamento della vicinanza e della solidarietà, isolamento del malato e abbandono del defunto. Queste prassi, ad un’attenta osservazione ed analisi postume, hanno inficiato profondamente sulle relazioni umane ed anche sugli aspetti sacrali della vita.
È noto che, nel corso del biennio l’informazione spiegata e veicolata dal mainstream, ha avuto le caratteristiche unilaterali, a senso unico, non essendo stata concessa alcuna possibilità di contraddittorio, di confronto e di spazio per le posizioni dubbiose e divergenti, lestamente etichettate, espresse da studiosi ad ogni titolo, che sono stati ‘confinati’ e ignorati, ma il cui pensiero in ogni caso ha continuato a proliferare e resistere. Questo emerge da subito nella Premessa al testo a firma di Geminello Preterossi, tra i relatori nella Summer, il quale pone l’accento sull’importanza, anche in una situazione, soprattutto all’inizio, così spiazzante, inquietante, emotivamente molto provante, di «custodire» un «pensiero libero», fondato sulla «testimonianza civile, che ha sempre rifiutato fondamentalismi e dogmi, demonizzazioni e discriminazioni, cercando la via della chiarificazione razionale, dell’argomentazione critica, della piena accettazione della pluralità» (p. VII).
Infatti, nell’epoca Covid19, è stata freneticamente repressa ogni manifestazione di titubanza e di contrarietà nel tentativo di conoscenza, mediante, continua Preterossi, «lo sdoganamento della logica del ricatto e della discriminazione, togliendo un pacchetto di diritti fondamentali (arrivando ad incidere addirittura sul diritto al lavoro e sul sostentamento familiare) a una vasta platea di cittadini, per forzarne la coscienza e la volontà […]» (pagg. VII-VIII).
Questo è il tema centrale del libro, il quale, dopo l’introduzione della curatrice, Gabriella Paolucci, che si è soffermata «sulla monopolizzazione dell’universale – ossia del ‘bene pubblico’ – e della sua teatralizzazione» passando dallo spettacolo dei media per imporre «prese di posizione particolari», legittimate dall’ «ipotesi di imposizione di un’unica verità scientifica e di un’unica pratica medica» (p. XIV), si articola in otto contributi, di cui qui di seguito se ne evidenzieranno i punti salienti secondo un ordine sistematico. Nel primo intervento su Crisi e Critica. L’ordine del discorso pandemico e le sue aporie, incentrato sostanzialmente sui concetti filosofici moderni di crisi e di critica, per come essi hanno inciso sul meccanismo e sulla ricostruzione del discorso dominante durante la pandemia, Gennaro Imbriano ricostruisce la trasformazione che il concetto di crisi subisce nella contemporaneità, il quale, nota Imbriano, non rappresenta più una possibilità di apertura, quanto, piuttosto, una «condizione di perdita e di pericolo» (p. 5), e scivolando, proprio per questo, in un contesto di allarme continuo, intriso di paura sul presente e sul futuro, all’interno del quale si inserisce ed espande il potere, e si indebolisce la critica. Ma, si chiede subito Imbriano, «di quale critica abbiamo bisogno per inquadrare adeguatamente i limiti e le aporie del discorso dominante sulla pandemia?» (p. 12). Si tratta di una domanda fondamentale, anche perché la crisi precede la pandemia, e accompagna e struttura integralmente tutto il mondo dentro il quale noi tutti ci troviamo a vivere.
Questi aspetti vengono messi in risalto dal contributo di Fabio Vighi (La Covid19 e le nuove grandi narrazioni del capitalismo di crisi), e da quello di Paolo Barrucci (Il governo della pandemia come strumento della lotta di classe) i quali inquadrano l’analisi del fenomeno pandemico entro le dinamiche della società capitalistica contemporanea.
Va da sé che la novità mondiale riguardante l’attacco alla salute ha provocato un profondo smarrimento, ancor più all’interno del contesto sopra descritto, di per sé già molto precario. Tuttavia, prima degli inevitabili danni e della letalità che ha provocato il virus, tuttora non smascherato per ceppo e per origine, l’aspetto meno trasparente è stato il ruolo preponderante giocato dalla narrazione fondata esclusivamente sulla paura, seminata ad ogni momento della giornata dai media, soprattutto dalla televisione, paura che si è insinuata prepotentemente nelle persone, quasi ipnotizzandole e travolgendo in loro le più elementari capacità logiche ed il primo diritto, che è quello di ragionare, oltre ai tanti diritti naturali che ci caratterizzano dalla nascita, tra cui quelli della salute e della libertà.
La gestione governativa adottata per l’emergenza sanitaria, infatti, basata su restrizioni non più ricorrenti dalla seconda guerra mondiale come, a titolo esemplificativo, la contrazione del diritto alla libera circolazione, alla libertà di pensiero e di espressione, ha comportato forzature etiche, giuridiche, forti perdite economiche, crisi depressive, senza trovare in realtà un’opportuna soluzione alla problematica. Le forti restrizioni, proprie di uno stato di ‘eccezione’ più che di emergenza, sono state fatte accettare alla stragrande maggioranza ‘con gradualità’, rimuovendo ogni tipo di sospetto e di conflitto, quindi insabbiando la consapevolezza individuale e collettiva sul senso del giusto. Insomma, è avvenuto un calpestamento ingiustificabile della nostra carta costituzionale e della libertà di scelta, mediante un consenso sempre sottilmente ricercato ed instillato.
Addirittura si era arrivati quasi ad inculcare l’idea che potenzialmente tutti erano malati, pur da perfettamente sani, e dunque bisognosi di una profilassi allora non del tutto sperimentata e definitivamente approvata, che anzi avrebbe potuto scatenare eventualmente effetti avversi più o meno gravi nel breve o lungo periodo. Frattanto, almeno dall’evidenza empirica dei dati, il virus, rispetto alla fase iniziale più acuta e con tasso letale più elevato, dopo due lunghi e penosi anni, sui soggetti sani tendenzialmente aveva le caratteristiche infiammatorie simil-influenzali, del tutto curabili con i rimedi esistenti, largamente collaudati. Per i soggetti fragili e a rischio occorrevano naturalmente maggiore attenzione e tempestività di intervento.
Di tale fronte eccezionale si è occupato Mariano Croce nella seconda lezione intitolata Come cambia una forma di vita? Eccezione e normopoiesi. Ponendosi sulla scia di quanto sostenuto, tra gli altri, da Agamben, Croce interpreta come la traiettoria della dichiarazione dello stato di emergenza porti all’accentramento dei poteri nelle mani del potere esecutivo – ciò che nel dibattito sviluppatosi nel corso dei due anni pandemici è stato definito con la nozione di ‘stato di eccezione’ per l’appunto –, per cui «l’emergenza non è un’interruzione improvvisa che deve essere superata; essa piuttosto serve ai Governi degli Stati liberali quale pretesto per passare dalla tradizionale preminenza del Parlamento a governi eccezionali trainati da poteri forti. Questa tecnica di intervento fluido trascende le distinzioni politiche tradizionali e aggira le procedure democratiche. […] Così, l’eccezione e la sua intrinseca adattabilità diventano uno strumento à la carte per creare spazi di azione politica in grado di eludere le lungaggini della politica tradizionale». (p. 24)
Prettamente filosofico è il contributo di Roberta Lanfredini La ricerca scientifica tra libera indagine e monopolio, la quale, sulla scorta delle prospettive di Kuhn e di Feyerabend, illustra la molteplicità degli itinerari attraverso i quali può essere condotta una critica efficace al riduzionismo proprio del paradigma medico dominante.
A tal proposito, sostanzialmente, com’è noto, il metodo scientifico non si fonda su certezze, ma è in continua sperimentazione basata sulla raccolta di dati, sul calcolo, l’osservazione, l’esperienza. Invece, nel caso del Covid19 non è stato aperto alcun contraddittorio, nessuna forma di dibattito, anzi la versione dei fatti è stata univoca, così come fatta veicolare dai mezzi tecnologici di informazione piegati al governo pandemico, senza possibilità di obiezione alcuna e con il ricatto/inganno, a pena di multe salate e punizioni di ogni tipo, fino alla negazione del diritto al lavoro, quindi della fonte di alimentazione, di realizzazione, di difesa della dignità, nonostante le infinite contraddizioni, oltre alle opacità, che si sono susseguite su tutta la gestione della fase emergenziale (pensiamo solo, ad esempio, al sì/no mascherine, al tipo delle stesse e alla loro utilità come misura di prevenzione dal contagio e della trasmissione).
Peraltro la storia ci insegna che le peggiori forme influenzali, come ad esempio la spagnola, si sono risolte nel giro di qualche anno, causando all’inizio milioni di morti, considerate anche le condizioni igienico-sanitarie molto precarie e imparagonabili a quelle odierne, per poi divenire endemiche fino alla loro scomparsa. Negli anni 2020-22 pareva, invece, che questo virus, la cui circolazione contagiante era molto alta, ma dalla carica nel tempo attenuatasi, non dovesse sparire. Anzi, si continuava a terrorizzare le menti di stagione in stagione, e a sottometterle, tra le altre misure restrittive, con l’utilizzo di dispositivi facciali, anche all’aperto, in totale solitudine, annullando così forme di comunicazione del linguaggio non verbale, soprattutto nelle fasce di età infantile per ore ed ore sui banchi di scuola, al rientro dall’innovativa modalità di didattica a distanza.
Validissimi studiosi e luminari della medicina hanno concentrato la loro attenzione sulle cure del virus, le sole che se tempestivamente applicate all’insorgenza della malattia, avrebbero potuto salvare da complicanze e letalità. Ebbene, nonostante fossero state proposte cure ‘alternative’ illustrate in più occasioni, anche istituzionali, le stesse sono state trascurate, se non addirittura ignorate, in attesa che molte persone, seppur pluridosate, venissero ospedalizzate per poi in alcuni casi dipartire, senza neanche la vicinanza degli affetti dei propri cari, impossibilitati all’ultimo saluto per draconiani protocolli di distanza. La mancanza di un atto di mestizia finale negato ai vivi che sopravvivono ed ai defunti non ci appartiene come società. Non è accettabile.
Perché tanta censura sulla libertà di espressione, sulle cure, sugli ingredienti della profilassi: cosa c’è da celare? Ma il sapere non si fonda sulla diversità dei punti di vista, sulla necessità di pensare con la propria testa? E come si giustifica tanta discriminazione tra chi ha voluto seguire il pensiero unico e chi, invece, lo ha diversificato alla ricerca di quanto realmente stesse accadendo?
Di primo acchito, dopo oltre un biennio, è balzato evidente che il modello consumistico ormai ben radicato, è stato applicato anche nella gestione pandemica (si pensi solo ai costi esorbitanti del tamponificio), tant’è che l’emergenza da prettamente sanitaria ha lasciato presto il passo ad una crisi socio-economica molto preoccupante per la tenuta del sistema Paese.
Distanziamento fisico e odio sociale, scatenato appositamente da chi trae profitto e vantaggio, hanno evidentemente avuto il senso di destabilizzare e destrutturare la società per poi rinnovarla: ma su quali basi è avvenuto tutto questo? E in quale direzione la società è stata trascinata? Una trattazione a parte meriterebbe la costrizione sotto ricatto del possesso di una tessera discriminatoria, che non salvava né dal contagio né dalla trasmissione, ma qui non entriamo nel merito. Il Covid19 ha reso ancora più chiaro il degrado in cui volgono la sanità e la scuola, ossia due pilastri sociali imprescindibili, perché la prima è alla base della tutela della salute, la seconda dello sviluppo del pensiero critico, senza il quale ognuno diviene burattino nelle mani di qualcun altro.
In riferimento a siffatti aspetti, le lezioni di Sara Gandini e Clementina Sasso, dal titolo Dall’epidemiologia difensiva al mito del rischio zero hanno restituito propriamente una lettura critica della gestione pandemica entrando nel merito delle specifiche misure sanitarie adottate per fronteggiare il virus, tra le quali le relatrici si sono soffermate particolarmente su quelle relative alla chiusura delle scuole, provocando destabilizzazione negli studenti alle prese con la ricerca della loro identità nella crescita, che passa soprattutto attraverso le relazioni sociali di persona, fatte di tattilità, di incontri, confronti e scontri. Poi, la didattica a distanza può essere anche applicata, ma non in forma esclusiva e non nelle fasi iniziali di un apprendimento, qualunque esso sia.
Chiudono il libro i testi di Carmelo Buscema Caos è governo del mondo. Guerra al virus e virus della guerra e di Sergio Porta La forma del potere. Il primo si è concentrato sul senso della ‘costruzione’ della pandemia che può essere compreso unicamente sulla base del processo di ridefinizione del modo di governare nell’attuale fase di ‘caos sistemico’. Il secondo mostra come sia fondamentale procedere con analisi che tengano in considerazione non solo il campo medico-sanitario, ma che approfondiscano e indaghino le modalità di esercizio del potere, cercando di distinguere tra la narrazione dominante sulla eccezionalità del fenomeno da Covid19 ed i dati che via via si sono resi disponibili.
Insomma, mentre per oltre due anni ha dominato questo unico argomento sulla scena mondiale, l’umanità ha proseguito la sua corsa forsennata, con i numerosissimi problemi di sempre, a cui se ne sono aggiunti altri, tra cui quelli di disuguaglianze sociali ed economiche molto più marcate e di persone malate che non sono state assistite per gravi carenze organizzative, private delle necessarie cure, lasciate, quindi, al loro destino per le chiusure forzate.
In tempi di crisi sistemica e di emergenze sanitarie, ambientali, geopolitiche, sempre sbandierate con costante allarmismo, diviene ancora più importante sviluppare ed esercitare il senso critico con consapevolezza, sia per dipanare le vicende dalle caratteristiche inusitate ed inquietanti che per elaborare ipotesi interpretative di strategie, atte ad affrontare il nuovo con valore etico-pratico. Questo emerge in modo rafforzato nel libro Il Governo della pandemia, che fa leva propriamente sull’importanza di problematizzare quanto accaduto nella fase pandemica, fuori da dicotomie e semplificazioni, ma mantenendo in auge i diritti ed il pluralismo di espressione, che non possono adagiarsi su conformismi né neutralizzare o reprimere il vitale dissenso all’interno della sfera pubblica, nella quale le diverse opinioni devono poter circolare e confrontarsi liberamente. A tal fine, è necessario che il dibattito pubblico rimanga sempre vivace ed aperto verso la ricerca e la difesa del vero, del legame sociale e del senso comunitario.
Ne va della tenuta democratica che ha il compito di tutelare le varie manifestazioni di pensiero, e, per dirla con Preterossi, «la reazione al coronavirus è stata un campanello d’allarme molto serio di una crisi di civiltà che mette in questione la nostra stessa antropologia» (p. IX).
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