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Due guerre in una


27 Set , 2024|
| 2024 | Visioni

Tralasciando le retoriche impudenti che oggi si scandalizzano per le violazioni del diritto internazionale commesse dallo Stato di Israele – la media e mediocre opinione pubblica dimentica che è dall’anno della sua fondazione che questo Stato fa strame del cadavere delle norme internazionali, perpetrando violenze e massacri nei confronti di popolazioni civili sia palestinesi sia degli altri territori limitrofi – dobbiamo notare che stiamo assistendo in maniera vieppiù evidente e ineluttabile all’intersecarsi, diremmo quasi al fondersi di due tipologie di guerra per molti aspetti differenti tra loro, la cui unione rischia seriamente di far irreversibilmente deflagrare la polveriera del Medio Oriente.

La prima tipologia di guerra in questione è la cosiddetta guerra infinita. Sebbene all’interno di questa categoria vengono raccolte diverse fattispecie del fenomeno bellico, vi è quanto meno un tratto generale che le accomuna tutte: la procrastinazione sine die della fine della guerra. Si tratta di un modello di guerra che è stato elaborato in seno alla dottrina politica degli Stati Uniti, incensato e benedetto in nome della irenica finalità che gli viene ascritta, ossia la debellazione del terrore (la famigerata “guerra globale al terrore”). Le drammatiche implicazioni di una tale rielaborazione della guerra sono molteplici, e qui ci limiteremo a prendere in considerazione quella che riguarda la ridefinizione del concetto di nemico. Quest’ultimo non è più il soldato in uniforme, che marcia assieme ai propri commilitoni, su di un suolo non urbano, neutro, al cui interno hanno luogo le battaglie tra i due o più eserciti regolari e il cui obiettivo ultimo non è l’annientamento del reciproco avversario, bensì la vittoria e la conseguente cessazione delle ostilità.

La guerra al terrore stravolge radicalmente questo scenario, introducendo una nuova qualificazione del nemico: questi è la figura irrazionale, altra da noi, con la quale non si può negoziare. In virtù di ciò, la sola strada percorribile è quella del suo completo annientamento fisico. Da un punto di vista tattico, per realizzare questo scopo, si è più volte fatto ricorso ad attacchi principalmente aerei, “senza stivali sul suolo”, proprio perché si ambisce a colpire unicamente il bersaglio, evitando i “danni collaterali” – sì, li hanno chiamati e continuano a chiamarli così – consistenti nel mietere vittime tra i civili. In verità, la scelta di attaccare con aerei e droni, cioè dall’alto, non deriva dalla volontà di preservare la vita dei civili, ma da quella strategia politico-militare secondo cui non bisogna annoverare perdite tra le fila del proprio esercito. Qual è il pericolo di questa tipologia di guerra, dunque? È presto detto. Poiché il nemico non è più un avversario oggettivamente identificabile in uniforme, ma un presunto terrorista che veste gli abiti dei normali civili e che può annidarsi in qualunque luogo della Terra, la guerra non può giungere a a termine fino a quando non sarà stata eliminato dal pianeta (sic!) ogni residua traccia del nemico, il che significa, in altri termini, che, anche se gli attacchi potranno temporaneamente sospendersi, la guerra in sé non troverà mai fine, dato che sarà sempre possibile individuare qualcuno come potenziale minaccia terroristica, anche artatamente (pugna cessat, bellum manet).

La seconda tipologia di guerra è la guerra di occupazione, di cui la nostra storia europea è latrice di esempi a iosa. Tra le caratteristiche di questa secondo tipo ritroviamo la presenza di schieramenti militari nitidamente distinguibili tra di loro, che combattono nel cosiddetto “teatro di guerra” – cioè all’interno di uno spazio geograficamente definito e limitato – evitando di coinvolgere le rispettive popolazioni civili, con uno scopo espressamente annunciato: l’appropriazione o la riappropriazione di un determinato territorio. La differenza rispetto alla precedente tipologia è già a prima vista lampante. Mentre nel primo caso, la guerra è combattuta senza limitazioni spaziali e temporali, poiché in ogni luogo e in ogni momento il nemico può far la sua comparsa, nel secondo caso la guerra trova una precisa collocazione spaziale e temporale, trattando il nemico non come l’altro da estinguere, ma come l’avversario di uno scontro col quale dovrò siglare una pace, una volta cessate le ostilità.

Abbiamo menzionato queste due tipologie di guerra, perché ciò a cui stiamo assistendo in Medio Oriente rappresenta la esiziale fusione di entrambe. Da un lato lo Stato di Israele afferma di bombardare dall’alto strutture e infrastrutture controllate dal nemico terrorista di turno (allora Hamas, ora Hezbollah), limitandosi a prendere atto dei danni collaterali delle vittime civili; dall’altro lascia entrare i propri eserciti nelle città, facendole evacuare e dando il proprio vile beneplacito alle peggiori nefandezze dei forze militari, che continuano a macchiarsi delle più efferate e immonde atrocità verso i civili (stupri, rapine, abusi, violenze, umiliazioni di ogni tipo, vantati a più riprese sui canali social). Basti pensare all’inqualificabile finzione di concedere del tempo ai cittadini dei territori invasi di poter fuggire, salvo poi proseguire con i bombardamenti mentre i civili ancora non sono riusciti a ultimare i preparativi per lasciare le proprie abitazioni. I recentissimi attacchi in Libano da parte dello Stato di Israele non solo non devono sorprendere, ma devono essere compresi come parte di un disegno più ampio che quest’ultimo ormai si appresta a compiere davanti alla paralisi delle istituzioni tanto regionali quanto internazionali, unitamente alla complicità delle potenze democratiche – gli alterchi tra Usa e Israele lasciano il tempo che trovano, dato che gli Stati Uniti, e non solo, continuano a inviare armi al loro figlioccio, permettendo di fatto che la guerra persista, sebbene verbalmente la disapprovino. Analogamente alle operazioni che hanno funestato e ridotto in macerie Gaza, se non ci saranno negoziati immediati per una tregua tra le forze in gioco – negoziati che richiedono l’intervento delle alleanze regionali, oltre che degli attori in campo – lo Stato di Israele, dopo aver danneggiato le infrastrutture centrali di Beirut e, più in là, di altre città del Libano (che saranno attaccate col pretesto che si tratta di luoghi che ospitano cellule di Hezbollah), avvierà operazioni militari di terra per sfollare le città invase e portare lentamente a compimento quel processo di appropriazione dei territori limitrofi cui ha dato inizio fin dagli albori della propria storia politica. Si tratta davvero una nuova Endlösung, che mira a fare un deserto dei nemici annidantesi nei territori confinanti, e della rispettiva innocente popolazione, con l’intento di creare un grande stato sionista che possa prepararsi allo scontro con il grande nemico in Medio Oriente, cioè l’Iran.

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