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Gol e dittatura: il volto oscuro dei Mondiali ’78


28 Set , 2024|
| 2024 | Sport

I Mondiali di calcio del 1978, svoltisi in Argentina, furono un evento sportivo di enorme importanza, ma anche un capitolo oscuro nella storia mondiale, poiché si svolsero nel pieno della dittatura militare del generale Jorge Rafael Videla. Questa competizione calcistica divenne una piattaforma per promuovere l’immagine del regime dittatoriale argentino, oscurando la terribile repressione interna messa in atto dalla dittatura.

Il contesto politico: la dittatura militare

Nel 1953, la FIFA decise di alternare i Mondiali tra Europa e Sud America. Questa decisione, fortemente sostenuta dall’Argentina di Perón, mirava a promuovere il calcio a livello globale. Rotili, rappresentante argentino, richiese ufficialmente l’edizione del 1962, ma la FIFA rimandò la decisione. Nel 1956, a sorpresa, il Cile ottenne l’organizzazione, forse a causa dell’opposizione del Brasile nei confronti dell’Argentina. Nel 1964, a Tokyo, Messico e Argentina si contesero i Mondiali del 1970. Raggiunsero un accordo: chi non avesse vinto avrebbe ospitato l’edizione successiva. Il Messico si aggiudicò il 1970, e l’Argentina fu automaticamente candidata per il 1978. Nonostante il forte sostegno iniziale di Perón, che vedeva nei Mondiali un’opportunità propagandistica, al momento dell’assegnazione del 1978, il leader argentino era già in esilio. In Argentina si susseguirono governi instabili, culminando con il ritorno al potere di Perón nel 1973. Alla sua morte, nel 1974, sua moglie Isabelita assunse la presidenza. L’organizzazione dei Mondiali del 1978 fu affidata a una commissione guidata da figure chiave del peronismo, come José López Rega e Pedro Eladio Vásquez. Il governo investì ingenti somme nella costruzione di nuove strutture sportive, ma l’organizzazione si rivelò inefficiente e costosa. La situazione cambiò drammaticamente con il golpe militare del 24 marzo 1976. Il generale Videla prese il potere, instaurando una dittatura militare nota per la brutale repressione esercitata sulla popolazione civile, nell’ambito della cosiddetta “Guerra Sucia” (Guerra Sporca), cioè lo scontro tra la giunta militare e i guerriglieri montoneros e dell’esercito rivoluzionario del popolo. Durante questo periodo, migliaia di persone furono arrestate, torturate, e fatte sparire, i cosiddetti desaparecidos, in un clima di terrore che colpì profondamente la società argentina. I Mondiali del 1978 furono quindi un’opportunità per il regime di presentarsi al mondo come un governo forte e legittimo. Videla voleva sfruttare la vetrina internazionale dello sport per distogliere l’attenzione dalle violazioni dei diritti umani in atto, cercando di rafforzare il consenso interno e ottenere riconoscimento all’estero.

Il calcio come strumento di propaganda

L’organizzazione dei Mondiali fu pianificata per impressionare la comunità internazionale e fornire al popolo argentino una sorta di valvola di sfogo. Il regime investì cifre considerevoli nella costruzione di infrastrutture sportive e nella promozione dell’evento, mentre i media locali erano controllati in modo da evitare qualsiasi critica al governo. Con la creazione dell’EAM (Ente Autárquico Mundial ’78), nel 1976, il governo, affidò a un unico ente la gestione completa dell’organizzazione dei Mondiali di calcio. Dotato di poteri quasi assoluti e di un budget pressoché illimitato, l’EAM poté concentrare tutti gli sforzi sulla realizzazione di un evento di portata mondiale. Tuttavia, i costi della manifestazione superarono di gran lunga le previsioni iniziali, raggiungendo cifre astronomiche e suscitando molte polemiche. Nonostante l’apparente efficienza organizzativa e la cura nell’elaborare un’immagine pubblica rassicurante a livello internazionale, il regime militare non ha mai cessato o mitigato la ferocia della propria repressione interna. Anzi, tra maggio e giugno del 1978, poco prima e durante il torneo, erano aumentati gli omicidi e i sequestri nei centri di detenzione segreti; le operazioni repressive vennero comunque condotte con estrema cura per mantenerle nascoste. Uno dei più letali centri di detenzione, La Escuela De Mecánica de la Armada (ESMA), gestito dalla Marina, si trovava non lontano dallo stadio del River Plate, El Monumental,  de Buenos Aires. Le testimonianze dei sopravvissuti ai centri di detenzione dell’Argentina militare rivelano un macabro paradosso: mentre fuori dagli stadi si celebrava la festa del calcio, all’interno delle carceri il ritmo delle torture subiva un’interruzione. I prigionieri, privati di ogni diritto, erano costretti ad ascoltare le partite alla radio, trovando in esse un breve momento di tregua. Persino i terribili “voli della morte”, simbolo dell’orrore di quel regime, sembravano sospesi durante le partite della nazionale, come a sottolineare l’importanza che il calcio rivestiva per la dittatura. Il calcio, già profondamente radicato nella cultura argentina, divenne così uno strumento politico fondamentale. La vittoria della nazionale di casa venne percepita non solo come un trionfo sportivo, ma anche come un momento di unità nazionale in un contesto segnato dalla violenza politica. Le autorità utilizzarono il successo della squadra per promuovere l’idea di un Paese unito e vincente sotto la guida del regime, ignorando deliberatamente le sofferenze di una parte significativa della popolazione.

La Coppa del Mondo e le denunce internazionali

Nonostante gli sforzi del regime, l’ombra della repressione non poteva essere completamente ignorata. Organizzazioni internazionali per i diritti umani, come Amnesty International, denunciarono pubblicamente la situazione in Argentina prima e durante il torneo. Anche alcune nazionali europee, come l’Olanda, discussero dell’opportunità di boicottare la competizione, pur decidendo alla fine di partecipare. La questione etica e morale di partecipare a un evento ospitato da un regime dittatoriale sollevò dibattiti in tutto il mondo, ma alla fine i Mondiali continuarono, sotto un’attenta regia propagandistica del governo argentino. In Italia, il dramma della dittatura argentina e della repressione subita dal popolo argentino rimase ai margini dell’attenzione mediatica. La stampa nazionale si concentrò prevalentemente sugli aspetti sportivi dell’evento, trascurando quasi del tutto l’analisi della complessa situazione politica e sociale del Paese. Solo in rari casi, e con scarso approfondimento, si fecero cenni alla grave crisi umanitaria che stava attraversando la nazione sudamericana. Le toccanti manifestazioni delle Madri di Plaza de Mayo, iniziate nel 1977 per chiedere verità e giustizia per i propri cari scomparsi, furono inizialmente ignorate dai mass media italiani. Fu la televisione olandese a dare per prima voce a questa coraggiosa protesta, proprio durante l’inaugurazione dei Mondiali. Solo in seguito, grazie alla pressione dell’opinione pubblica internazionale e alla diffusione di testimonianze sempre più inquietanti, anche la stampa italiana iniziò a occuparsi dei desaparecidos e delle atrocità commesse dalla dittatura militare argentina. Mentre il fronte conservatore sosteneva l’iniziativa di far svolgere i mondiali in Argentina, i progressisti scendevano in campo con una dura presa di posizione. Una petizione, firmata da nomi illustri come Georges Moustaki, Yves Montand, Roland Barthes, Jean Paul Sartre e Louis Aragon, lanciava un appello al boicottaggio, polarizzando ulteriormente il dibattito

La partita sotto accusa: la marmelada peruana

Uno degli episodi più controversi di questi Mondiali fu la partita tra Argentina e Perù, giocata il 21 giugno 1978. Per passare alla finale, l’Argentina aveva bisogno di vincere con almeno quattro gol di scarto. Le polemiche scoppiarono già prima dell’incontro, quando si venne a sapere che il portiere Quiroga, originario della stessa città in cui si disputava la partita, Rosario, aveva acquisito la cittadinanza peruviana. Di conseguenza, la Federazione calcistica brasiliana presentò un reclamo ufficiale chiedendo che non venisse schierato in campo. L’albiceleste vinse per 6-0, un risultato che suscitò immediatamente sospetti di corruzione e combine. L’accusa riguardava la fornitura di grano e altri aiuti economici al Perù come forma di ricompensa per una sconfitta deliberata. Sebbene non vi siano prove definitive, questo episodio alimenta ancora oggi il dibattito sull’integrità sportiva di quel torneo. Al riguardo, nel 2018, l’ex centrocampista peruviano José Velásquez rilasciò delle dichiarazioni inequivocabili: “Videla entrò nel nostro spogliatoio prima del calcio d’inizio insieme al segretario di Stato statunitense, Kissinger, per augurarci una buona partita e ricordarci che i nostri Paesi avevano sempre collaborato e vantano ottime relazioni”.

La vittoria e il suo significato

L’Argentina vinse il suo primo titolo mondiale battendo l’Olanda nella finale del 25 giugno 1978. Questa vittoria fu salutata come un trionfo nazionale, ma il contesto in cui avvenne lasciò molti interrogativi aperti. Per milioni di argentini, quella vittoria rappresentò un momento di orgoglio e riscatto in un periodo difficile. Per il regime, fu un’opportunità per distrarre l’opinione pubblica dai crimini e dalle violenze della dittatura. Tuttavia, per altrettante persone, l’esaltazione del trionfo sportivo cozzava dolorosamente con la realtà quotidiana di un paese sotto il giogo di una dittatura sanguinaria. Le celebrazioni per la vittoria del titolo mondiale si svolsero a poca distanza dai centri di detenzione clandestini dove migliaia di prigionieri politici, come la Escuela de Mecánica de la Armada, erano sottoposti a torture e maltrattamenti. Il contrasto tra l’euforia collettiva per la vittoria e la disperazione delle famiglie dei desaparecidos rende quei Mondiali un simbolo di profonda ambiguità storica.

Il ruolo della memoria: sport e politica

Negli anni successivi, i Mondiali del 1978 sono stati soggetti a una rilettura critica sia in Argentina che a livello internazionale. Il legame tra sport e politica, in particolare l’uso del calcio come strumento di propaganda, è stato oggetto di riflessioni e dibattiti. Per molti argentini, la vittoria del 1978 è ancora motivo di orgoglio, ma è impossibile ignorare il contesto violento in cui essa avvenne. Le testimonianze delle vittime della dittatura e delle loro famiglie hanno contribuito a costruire una narrativa storica in cui i Mondiali del 1978 rappresentano un esempio drammatico di come lo sport possa essere manipolato a fini politici. A distanza di decenni, la memoria di quel torneo rimane divisa: da un lato, un trionfo sportivo epocale, dall’altro, una macchia indelebile nella storia dei diritti umani in Argentina.

Conclusione

I Mondiali del 1978 in Argentina non furono semplicemente una celebrazione dello sport, ma un evento profondamente intriso di significati politici e sociali. La dittatura militare utilizzò la competizione per consolidare la propria immagine a livello internazionale e per distrarre la popolazione dalle atrocità commesse. Oggi, quel torneo rappresenta un esempio emblematico di come lo sport possa essere manipolato dalle dittature, ma allo stesso tempo rimane una pietra miliare nella storia del calcio argentino, un simbolo di orgoglio nazionale che continua a essere celebrato, pur con la consapevolezza del contesto tragico in cui si svolse.

Bibliografia

https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/2022/12/14-5971377/storie_mondiali_argentina_78_e_la_marmelada_peruana_

Pablo Llonto, I mondiali della vergogna – I campionati di Argentina ’78 e la dittatura, Roma, Edizioni Alegre, 2010.

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