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Il campo largo si è già ristretto


7 Ott , 2024|
| 2024 | Sassi nello stagno

La politica di oggi quotidianamente ci offre spunti attraverso cui maturare la convinzione che punti di riferimento non vi siano più.

Un chiodo è capace di fermare l’intero traffico dei treni dell’ottava potenza del mondo così come vecchie ruggini personali possono mettere in dubbio – se non in crisi permanente – l’idea di una alleanza tra le forze dichiaratamente progressiste di questo Paese (cosa poi si debba intendere per “progressismo” è faccenda che dobbiamo qui tralasciare). Lo si è chiamato “campo largo”, altri modi avrebbero potuto definirlo, la sostanza però era ed è la stessa: riunire sotto un’unica bandiera – dalle sfumature differenti – le varie sinistre (o presunte tali) in questo paese, finalmente compatte contro un obiettivo comune.

Tuttavia la storia insegna – sia chiaro: qui si parla da analisti – che la “sinistra”, nelle sue diverse forme e traiettorie storiche, è costitutivamente destinata a frammentarsi e la vicenda del ”campo largo”, le sue continue turbolenze di questi ultimi mesi, non fanno altro che avvalorare ciò che la storia di questo paese ci insegna.

In realtà un tentativo fu fatto, ai tempi del centro-sinistra di Moro, più in generale dal 1962 al 1976, ed è indubbiamente anche grazie a quell’esperienza di governo e a quel progetto politico che l’Italia ha potuto affrancarsi da vecchie tare e tabù che la legavano al passato. Ma parliamo di ben altro centro-sinistra, dal punto di vista dei contenuti e della classe dirigente, ancora immune dalla subalternità al paradigma liberal-globalista e dall’esaltazione acritica del mito dell’Europa unita (dal mercato e dal diritto) degli ultimi quattro decenni.

A dire il vero dopo quell’esperienza altre ve ne furono, esperienze che via via si sono chiamate ulivo unione o, se guardiamo ai giorni nostri, Italia democratica e progressista. Ebbene possiamo dire col senno di poi che, soprattutto negli ultimi trent’anni, l’atto di federarsi, di unirsi, insomma di stare insieme in qualche modo da parte delle forze di (centro)sinistra del nostro paese è stata un po’ come la fatica di Sisifo. Sembra quasi un evento destinale: più ci si sforza di stare insieme più alla lunga emergono problemi o, addirittura, ostacoli insormontabili.

Ma a cosa si deve tutto ciò? Per spiegarlo sarebbe necessario la fine erudizione di un politologo, di un filosofo politico, di uno storico o basterebbe l’ausilio di un buon psicologo? In effetti pare evidente che dietro i ripetuti contrasti, le ripetute abiure di progetti comuni, vi sono oggi e vi siano stati in passato più che altro, come detto, ruggini personali, antipatie di lunga data capaci di minare i propositi unitari iniziali, in assenza di una visione politica alta e comune d’insieme.

Insomma di fronte a questa ennesima crisi che pare senza soluzione consigliamo ai leader del “campo largo” di sedersi sul lettino dello psicanalista, chiedendosi cosa vogliono fare da grande. Essere una minoranza litigiosa in eterno o contare di nuovo qualcosa? Fissarsi sulle formule astratte o dare priorità ai contenuti? Ma quali contenuti? Se sono quelli egemoni nella loro storia più recente o le diverse mode del momento, si capisce perché conviene parlare di forme e di facce, piuttosto che di sostanza e pensiero.

A un buon seguace di Freud e Lacan tocca insomma il compito di dirci se il sogno (o un incubo, direbbero altri) di un centro-sinistra progressista unito sia destinato ad essere solo un sogno, uno di quelli che proprio Freud e Lacan studiavano per interpretare il presente in cui vivevano.

Di:

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