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Il social italiano allergico alla censura (e alla profilazione): Sfero
Inside Over ha dedicato un dossier al tema della libertà di espressione, che coinvolge le big tech e il crescente fenomeno della censura, sullo sfondo di episodi come l’arresto del CEO di Telegram, Pavel Durov, le contestazioni contro X di Elon Musk (nella UE e in Brasile) e gli effetti dell’applicazione del Digital Service Act, che stanno creando più di una preoccupazione a coloro che, come noi, sono convinti sostenitori della libertà di manifestazione del pensiero, tutelata dall’art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana.
Una risposta a tutto questo, e non solo, potrebbe essere individuata in un social network, italianissimo, ancora poco noto ai più. Sia ben chiaro che non siamo qui per fare campagna acquisti per nessuno, e a coloro che obbiettassero che Sfero si finanzia principalmente col contributo dei suoi sostenitori, potremmo replicare che forse si trascura quella massima di saggezza, chiunque sia stato a formularla, secondo la quale “quando il prodotto è gratis, il prodotto sei tu”.
Che cos’è Sfero?
Nella pagina dedicata, il progetto viene presentato come “una sfida”, aggiungendo che “il nostro target è composto da quelle persone che si sono adattate al sistema, quelle persone che hanno perso la speranza, quelle persone ormai incapaci di immaginare un’alternativa”; non sono previsti banner o cookies da accettare, ma soprattutto non vengono ammesse censure di sorta. La scelta di non accettare sponsor e fare leva sul sostegno libero e disinteressato di utenti e simpatizzanti rappresenta una delle garanzie d’indipendenza dell’iniziativa.
Chi c’è dietro Sfero? Nessun segreto, si tratta della Fondazione BarterFly, che, come si legge sul sito istituzionale, nasce col proposito di dare vita a “…un nuovo sistema economico, sociale e di informazione, in cui imprese, persone e comunità ricevono libertà finanziaria, potere d’acquisto e informazione indipendente.”
L’importanza della rete per la circolazione di fatti e notizie è fuori discussione: in base ad alcune recenti rilevazioni del CENSIS, è in crescita il numero degli italiani che ricorrono a web e social per informarsi, sia pur con alcune oscillazioni circa la fonte e/o i motori di ricerca preferiti.
In un’intervista rilasciata per un’emittente indipendente Daniele Di Luciano, uno dei “papà” di Sfero, sottolineando la totale rinuncia alla vendita dei dati e/o alla profilazione dell’utenza, ricorda l’assenza di ogni finalità di lucro, che contraddistingue i principali social, per sottolineare il carattere etico dell’iniziativa. Un altro dei principi è stato il rigetto di un tratto distintivo dei social, il “like”, che per i creatori di Sfero sarebbe all’origine di un sentimento di frustrazione e dipendenza – da taluno paragonato a quella da nicotina – specie nel momento in cui non si consegue il riscontro atteso con la pubblicazione dei propri contenuti.
I numeri di Sfero, ovviamente, non sono paragonabili a quelli dei maggiori social: nei report della Fondazione BarterFly si parla di circa cinquantamila iscritti, ma con un trend in crescita, che vale anche le visualizzazioni, che toccano punte di un milione e mezzo su base mensile.
Lo stesso Di Luciano, in un’altra intervista, spiega con molta efficacia il concetto e la funzione dei famosi algoritmi che “governano” web e social media, e di come il fenomeno della polarizzazione delle opinioni sia all’origine di profonde fratture sociali: in pratica, i famosi algoritmi fanno sì che ciascun utente finisca per “vedere” solo i contenuti che confermano i propri bias cognitivi, finendo per ingenerare una sorta di insofferenza nei riguardi delle diverse posizioni, il che può alimentare litigi e scontri virtuali.
Venendo alle conclusioni, senza nulla togliere al capitolo censura e limitazione alla libertà di espressione, che a nostro parere non dovrebbero essere consentite quando si muovano nei limiti del lecitamente consentito e/o appellandosi al carattere privato delle piattaforme[1], il vero nocciolo della questione risiede nella profilazione dell’utenza. A parte gli utilizzi dei social a fini pubblicitari e/o di ricerca di personale, il nervo scoperto è quello di un eventuale e improprio utilizzo dei dati raccolti che, visto il precedente di Cambridge analitica, potrebbe e dovrebbe destare più di una riserva. Se è verissimo che gli standard di sicurezza esistono, e vengono implementati costantemente, si potrebbe dire lo stesso (purtroppo) degli strumenti elaborati per aggirarli.
In definitiva, se mettere la propria vita sui social può sicuramente contribuire a solleticare l’ego e/o aprire nuove opportunità (pensiamo al fenomeno dei cosiddetti influencer, i testimonial di un tempo), allo stesso tempo presta il fianco a molte criticità, che non a caso offrono spunti e casi di studio per sociologi, psicologi ed esperti di comunicazione.
Una chiosa finale. Se è vero che Sfero non offre al momento attuale un “palcoscenico” virtuale paragonabile ai “colleghi” social più diffusi e blasonati, siamo così sicuri che questo sia necessariamente un male? Non foss’altro perché la funzionalità di certi meccanismi, pensiamo ai famosi algoritmi, possono provocare talvolta vere e proprie fratture sociali, che mal si conciliano con quella che dovrebbe essere la funzione di queste piattaforme: la socialità.
[1] Si potrebbe obiettare che chi offre, da privato, servizi al pubblico (come sanità, istruzione, trasporti, etc.) non per questo non è vincolato al rispetto delle regole, in primis del principio della parità di trattamento.
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