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Crisi di sistema: le elezioni americane e il futuro delle disuguaglianze


5 Nov , 2024|
| 2024 | Visioni

Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti dovrebbero rappresentare un momento cruciale, un’occasione per ridisegnare il futuro della nazione e affrontare le sfide che affliggono una società segnata da profonde disuguaglianze. In un paese dove l’assistenza sanitaria universale è ancora un miraggio e dove un terzo della popolazione vive in condizioni di estrema povertà, queste elezioni dovrebbero essere un punto di svolta per discutere di temi fondamentali come la giustizia sociale, l’accesso alle cure e la lotta per la mobilità sociale.

Tuttavia, l’attuale scenario politico sembra offrire soluzioni che, pur nella loro diversità ideologica, non riescono a incidere in modo radicale sulle strutture di disuguaglianza che caratterizzano il sistema americano.

La mancanza di un sistema di assistenza sanitaria universale rappresenta una ferita aperta nella società americana. Le fasce più vulnerabili si trovano a dover scegliere tra l’accesso a cure mediche essenziali e bisogni primari come l’alimentazione o l’istruzione.

Questo crea un ciclo di precarietà che si tramanda di generazione in generazione, amplificando le disuguaglianze e compromettendo la possibilità di riscatto sociale.

La retorica del “sogno americano” si scontra con la dura realtà di milioni di persone che non hanno accesso a un diritto fondamentale come la salute. In questo contesto, le elezioni presidenziali dovrebbero essere un momento per affrontare queste contraddizioni e proporre soluzioni che vadano oltre il mantenimento dello status quo.

Kamala Harris, durante la sua carriera politica, ha spesso messo in primo piano la necessità di ampliare l’accesso all’assistenza sanitaria e di combattere le disuguaglianze sociali. Le sue proposte, però, benché apprezzabili per l’intenzione, sono insufficienti rispetto alle reali necessità di una popolazione in grave difficoltà. La sua retorica progressista si scontra con la realtà di un sistema politico ed economico che premia il compromesso e la moderazione.

La tensione tra ciò che Harris propone e ciò che effettivamente riesce a realizzare riflette un problema più ampio: la difficoltà della sinistra liberale di proporre e attuare riforme strutturali profonde in un contesto dominato da interessi consolidati.

Dall’altra parte, Donald Trump, sul piano interno, ha rappresentato un approccio opposto, centrato sulla deregolamentazione e sulla riduzione del ruolo dello Stato nella sanità. La sua amministrazione ha cercato di smantellare parti fondamentali del sistema esistente, come l’Affordable Care Act, senza però offrire alternative che potessero realmente garantire un accesso equo alle cure per i più poveri. La retorica populista e antisistema di Trump, che lo ha portato a presentarsi come il difensore dei “forgotten men and women“, non si è tradotta, almeno sul piano delle politiche sanitarie, in misure concrete che abbiano migliorato le condizioni di vita delle classi più disagiate.

Entrambi i leader, pur rappresentando visioni politiche diverse, si trovano a confrontarsi con le stesse sfide fondamentali: come garantire un accesso universale all’assistenza sanitaria e come affrontare la povertà diffusa. Le loro soluzioni, seppur divergenti, non sembrano essere sufficientemente incisive per risolvere le crisi di disuguaglianza e povertà che affliggono una parte significativa della popolazione americana.

Questa situazione solleva una domanda critica: siamo sicuri che il problema sia solo la destra sovranista rappresentata da Trump? O dobbiamo guardare anche alla sinistra liberale, rappresentata da figure come Kamala Harris, che non riescono a proporre riforme radicali e si limitano a perpetuare uno status quo insoddisfacente? La tendenza a votare il “meno peggio” può finire per rafforzare un sistema che non cambia mai davvero, lasciando irrisolti i problemi di fondo. La vera questione potrebbe risiedere non solo nelle figure politiche, ma nel sistema stesso, che sembra intrappolare chiunque ne faccia parte in una rete di compromessi e limitazioni che impedisce qualsiasi reale trasformazione.

In un tale contesto, il principio dell’ottimo paretiano, spesso invocato in ambito economico-politico, assume una connotazione sinistra: l’idea che un miglioramento possa avvenire solo se non danneggia altri settori della società spesso si traduce nel mantenimento dello status quo, dove le élite continuano a prosperare mentre le fasce più deboli restano intrappolate nella povertà. Un’allocazione delle risorse è considerata ottima in senso paretiano quando non è possibile migliorare il benessere di un individuo senza peggiorare quello di un altro.

In diversi termini, un cambiamento che avvantaggia qualcuno deve necessariamente svantaggiare qualcun altro, e quindi non è possibile raggiungere una situazione migliore per tutti. In un mercato come quello americano, le risorse sono allocate in modo tale da massimizzare l’efficienza, ma questo non implica che la distribuzione delle risorse sia equa.

Negli ultimi anni, l’accento sull’efficienza ha iniziato a essere messo in discussione, in particolare in seguito alla crisi economica del 2008 e all’aumento delle disuguaglianze.

Negli ultimi anni si è perpetrata l’idea che la consapevolezza che l’efficienza non possa essere un obiettivo isolato, ma deve essere bilanciata con considerazioni di equità e giustizia sociale[1]. Il modello americano continua, rispetto ad altri modelli, a essere fortemente influenzato dall’idea di efficienza economica, che ha caratterizzato le politiche degli ultimi decenni, anche di amministrazioni come quella Obama[2].

Questa continua idolatria dell’efficienza ha portato a una cultura della disumanizzazione, in cui i cittadini vengono visti non come membri di una comunità, ma come meri ingranaggi in una macchina economica.

È tempo di abbandonare questo paradigma obsoleto e costruire un sistema che metta al centro le persone, garantendo dignità, opportunità e un futuro sostenibile per tutti.

L’illusione di progresso, sia sotto Harris che sotto Trump, si tradurrà in una continua insoddisfazione e in un aumento del risentimento sociale.

È fondamentale, quindi, superare la retorica del cambiamento per abbracciare un approccio radicale e inclusivo che metta al centro il benessere dei cittadini, promuovendo non solo l’efficienza, ma anche la dignità e la giustizia sociale per tutti.


[1] Mi riferisco da questo punto di vista alle social democrazie avanzate scandinave

[2] Consiglio il cfr. Donald L. Barlett e James B. Steele The Betrayal of the American Dream,

Di:

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