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Il grande giorno dell’Election Day

In occasione delle elezioni in Usa proponiamo questo articolo di Angelo Gambella, che ha dimostrato essere un acuto osservatore nel campo della geopolitica. Al momento in cui scriviamo i dati sono ancora lontani, certamente contributi come questo possono aiutarci a capire le dinamiche di un processo così complesso (nota della Redazione).
Dopo una lunghissima campagna elettorale fatta di colpi di scena come il ritiro di Biden e i due attentati a Trump, il giorno del voto (election day) è finalmente arrivato. Da questa mattina le urne sono aperte in tutti gli stati e si chiuderanno nei tempi e secondo le regole stabilite da ciascuno stato.
Il voto è stato preceduto da un ampio ricorso al voto anticipato “per assente” sia di persona che con il mezzo postale che tante polemiche suscitò nel 2020.
Due grandi sfidanti: la vicepresidente in carica Kamala Harris indicata dal partito Democratico in sostituzione del rinunciatario Biden e l’ex presidente Donald Trump che ha stravinto le primarie del partito Repubblicano (GOP).
GOP e Dem si affrontano nel voto per una parte della composizione del Senato e per il rinnovo della Camera (House) nonché per i ruoli di governatore, e di altre figure o cariche stato per stato.
Tutti i sondaggi di opinione mostrano gli Stati Uniti spaccati in due nel consenso con le grandi città democratiche e le aree rurali repubblicane, con un voto popolare che potrebbe essere vinto da entrambi e soprattutto con una incertezza che regna assoluta nel collegio elettorale.
Sfidanti in grado di impensierire i due rivali non ce ne sono: Robert Kennedy, l’unico che aveva un certo consenso ha rinunciato fornendo il proprio appoggio a Donald Trump in tutti gli stati chiave rimanendo in corsa in una quarantina (il Michigan ha rifiutato il ritiro del nome dalla scheda). La candidata dei Verdi Stein potrebbe togliere qualche voto a sinistra alla Harris come Oliver o West potrebbero pescare in entrambi gli schieramenti, ma stiamo osservando un voto minoritario, “zerovirgolista”, tuttavia in grado di poter far vincere o perdere uno stato in bilico per poche migliaia di voti.
Il collegio elettorale si colora di blu e rosso ancor prima di iniziare lo spoglio: Harris ha il suo grande bacino elettorale nella costa orientale con New York e i suoi 28 grandi elettori e il New Jersey (14) e nella costa occidentale con il traino della California (54).
Trump domina l’America centrale con il Texas (40) e la Florida (30), una volta lo stato conteso per eccellenza ma che appare saldamente colorato di rosso, e molto importante l’Ohio (17). Chi vince prende tutto.
Al centro degli Stati Uniti Harris può contare sull’isola democratica dell’Illinois (19) e sul Colorado (10) che non appare in discussione.
Il Minnesota (10) di Walz, vice di Harris, il New Messico (5) sono territori nei quali il partito repubblicano conta di andare a vincere contee e distretti ma che non sembrano in palio per la presidenza. Harris è favorita per un singolo grande elettore tra quelli in palio nel Nebraska mentre è più complessa la questione della Virgina (13) che sembra partire da un vantaggio di Harris nel voto anticipato, contrariamente alla West Virginia repubblicana; tuttavia la partita in Virginia potrebbe riaprirsi con il voto odierno se Trump riesce a portare la popolazione maschile e gli indipendenti al voto.
Donald Trump sembra poter competere di nuovo per la conquista dei quattro grandi elettori del New Hampshire dove nel 2016 aveva perso solo per lo 0,3%, stato che ha visto l’altro giorno la presenza del suo vice J.D. Vance. Il partito repubblicano è sicuro di andarsi a prendere un singolo grande elettore nel Maine pareggiando la perdita di uno nel Nebraska. Il New Hampshire dove il tradizionale rapido spoglio di Dixville si è concluso in perfetta parità sul 3-3, appare effettivamente conteso negli ultimi sondaggi, notizia non buona per Harris che vede però riaccendere le sue speranze sull’Iowa.
L’Iowa (6), come dicevamo, territorio ultimamente repubblicano ma che un sondaggio di Ann Salzer apre da una clamorosa vittoria di Harris; un +3% immediatamente capovolto da un +10% per Trump nel sondaggio Emerson a cui si allineano altri istituti locali. Donald Trump sembra destinato al successo ma come per il New Hampshire attenderemo i risultati definitivi.
Sette sono i grandi stati contesi, ovvero battleground o swing states, secondo la definizione dei giornali USA.
1) Il Nord Carolina (16) era stato vinto Trump nel 2020 per l’1,3%: tutti i dati del voto anticipato quanto ad affluenza per affiliazione partitica registrata fanno pensare alla conferma di Trump. Non di meno la campagna di Harris ha speso molto denaro e prova a contendere lo stato, nonostante tutti i sondaggi la considerano in svantaggio. La Carolina del Sud si mantiene invece fermamente repubblicana.
2) L’Arizona (11) era stata vinta da Biden per un misero 0,3% dopo un lunghissimo conteggio nella grande contea di Maricopa fatto di ricorsi controricorsi e riconteggi; anche qui tutti i dati preliminari in termini di affluenza del voto anticipato fanno pensare ad un successo di Donald Trump ma la partita è aperta.
3) Il vicino Nevada (6) è molto interessante. I dati del voto anticipato sembrano sorridere al campo repubblicano. Qui Biden aveva vinto “di misura” e Trump è a mio modo di vedere favorito per una vittoria allo stesso modo di Biden. Lo stato potrebbe non essere decisivo rispetto agli stati della cintura dei laghi.
4) Georgia (16). Teatro di battaglia nel 2020 e nelle elezioni di metà mandato del 2022. Nel 2020 il voto postale era stato duramente contestato dai repubblicani prima che venisse assegnata la vittoria al campo democratico. I dati sembrano mostrare maggiore propensione al voto per la popolazione white/bianca e minore per quella black/nera, che in questo stato rappresenta una percentuale molto alta rispetto agli stati centrali. Donald Trump è considerato in grado di ribaltare lo stato, ma Harris può vincerlo.
5) Pennsylvania (19). Quattro anni fa solo per l’1,2% si era imposto Biden rimontando con il voto postale, mentre Trump aveva vinto nel 2016 per lo 0,7%. La media Real Clear Politics è Trump + 0,4%. Tutti i comizi finali dei candidati presidente e vice presidente si sono concentrati nello stato. I dati di affluenza fanno sorridere Trump, ma il popolo repubblicano deve votare in massa nella giornata di oggi. La partita è apertissima.
6) Wisconsin (10). Anche qui sondaggi altalenanti che una volta promuovono Harris e l’altra Trump. Corsa apertissima ad una vittoria dell’uno o dell’altro, i candidati indipendenti potrebbero perfino risultare decisivi.
7) Michigan (15). Biden aveva vinto con un margine del 4,2%, mentre la media Real Clear Politics è Harris + 0,5%. E’ fra tutti gli stati contesi quello che sembra poter essere vinto con meno difficoltà da Harris ma potrebbe non bastare se non riesce a conquistare almeno uno tra Pennsylvania o Wisconsin, o tutti e due se va male anche in Georgia, Nord Carolina e Arizona.
Ho indicato i 7 battleground states secondo quella che è la mia visione del grado di difficoltà per Donald Trump. Per Harris basta leggere a ritroso.
Molto importante sottolineare che i giornali americani stanotte e domani all’alba italiana “chiameranno” gli stati ad uno o all’altra quando i dati provvisori andranno in una direzione chiara. Aspettiamoci soprattutto all’inizio diversi “too close to call” ovvero vantaggi stretti e pareggi che andranno definiti a spoglio molto avanzato o solo alla fine del conteggio. Ricordiamo che nel 2020 lo spoglio in alcuni stati come la California, New York, la Georgia, l’Arizona richiesero molti giorni e questo potrà incidere soprattutto nell’assegnare la Camera tra Repubblicani e Democratici. Per la cronaca i Repubblicani dovrebbero ribaltare il controllo del Senato mentre i Democratici potrebbero strappare la Camera ai Repubblicani; è davvero questione di un paio di rappresentanti in più o in meno.
Per finire: se nessuno tra Harris e Trump avrà all’alba italiana di domani un vantaggio chiaro, una vittoria “a valanga” “in a landslide”, è possibile che il presidente degli Stati Uniti venga dichiarato solo tra qualche giorno come fu per Biden mantenendo la suspence verso la fatidica data del 6 gennaio 2025.
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