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Provocazioni nella Bologna già vittima dello stragismo neofascista


11 Nov , 2024|
| 2024 | Sassi nello stagno

Polemiche pretestuose, quelle scaturite dagli scontri di Bologna avvenuti sabato 9 novembre. O meglio, sarebbero pretestuose se tutta l’impalcatura organizzata con il corteo neofascista non avesse avuto come scopo proprio quello di generare le polemiche del giorno dopo. Perché non si poteva non sapere che quel corteo avrebbe generato una risposta da parte di una frangia della cittadinanza, magari la più facinorosa e contraddittoria, ma comunque quella che con più convinzione non intende lasciare spazio a forme più o meno dissimulate di parata neofascista in una città, Bologna, che conserva nella sua memoria l’infamia dello stragismo nero.

Ovviamente non ci sfuggono i tentativi dall’alto e da più parti di alimentare guerre di religione fuori tempo massimo e di schiacciare la dialettica sui fantasmi del passato per distrarla dai nodi e dalle contraddizioni oggi fondamentali. Così come siamo consapevoli di come negli ultimi tempi le tendenze autoritarie abbiano assunto il volto subdolo del “pilota automatico” tecnocratico ed emergenzialista di matrice draghiana, con annesse politiche di guerra targate Ursula von der Leyen. Ma nei fatti di Bologna si sente l’eco di un “mai più” che va costantemente scandito. Tornano cioè alla memoria eventi di più di un sessantennio fa, quando un governo che si reggeva sul consenso esterno del Movimento sociale italiano, il partito neofascista novecentesco da cui scaturisce parte dell’attuale classe di governo, diede l’autorizzazione a un comizio di quel partito a Genova, città medaglia d’oro per la resistenza. La risposta della cittadinanza genovese fu una giornata di guerriglia urbana come non se ne sarebbero più viste nel nostro paese. Ma nessuno ridurrebbe quegli scontri a una reazione di facinorosi che volevano impedire la libera espressione di una fazione politica. E questo perché quella che fu scritta a Genova fu un’importante giornata di pratica democratica. La popolazione del capoluogo ligure costituì un presidio democratico di fronte allo scivolamento governativo verso posizioni neofasciste. Non è un caso se quegli eventi produssero la caduta del governo Tambroni.

Da allora, i tempi sono decisamente cambiati, e non in meglio. Il linguaggio politico è degenerato, il ragionamento ha lasciato il posto all’invettiva e all’insulto. Chi ha responsabilità di governo porta la fiaccola di tale clima degradato. Gli eredi del Msi sono al governo, mentre quelli che vogliono collocarsi sulla scia della popolazione genovese del 1960 vengono tacciati di essere dei facinorosi che cercano lo scontro con le forze dell’ordine. Così non solo si nota l’assenza di qualsiasi autocritica per come è stata gestita la questione della manifestazione neofascista, ma ci si scaglia contro gli antifascisti. Né sembra esserci più il comune senso del pudore. Così, un ministro della repubblica si lascia andare a esternazioni che riportano in auge un linguaggio autoritario degli anni Settanta, minacciando violentemente le realtà dell’antagonismo di sinistra.

Eppure, stando a quanto trapela, era evidente, a chi doveva decidere dell’ordine pubblico, che la manifestazione di Casa Pound, in una città vittima dello stragismo neofascista, sarebbe stata considerata una provocazione. Tanto che, in sede di comitato di ordine pubblico, si era determinato di spostare almeno la sede del percorso lontano dal luogo simbolo per antonomasia dello stragismo nero. Poi, deve essere arrivato l’ordine da Roma che ha piegato prefettura e questura al volere dei piani superiori. Rimane da capire se il corteo sia stato autorizzato proprio al fine di creare la buriana mediatica che, puntualmente, si è scatenata il giorno dopo non solo contro coloro che sono scesi in piazza a contrastare la manifestazione fascista ma anche contro il sindaco e, quindi, contro la popolazione bolognese nel suo complesso. Ciò che viene ignorato è che, in assenza di una vigilanza da parte delle istituzioni, la reazione della popolazione costituisce una legittima reazione. Il che significa che i collettivi che si sono opposti al corteo dei neofascisti sabato pomeriggio hanno costituito l’unico presidio democratico in città in quel frangente. Con buona pace della stampa prezzolata e fiancheggiatrice del governo che ha lanciato strali nei confronti di chi si è opposto alla parata neofascista. Persino l’azione violenta costituisce in tale frangente una legittima espressione di dissenso. È possibile che un ordinamento giuridico democratico non possieda fino in fondo gli anticorpi contro una provocazione di matrice neofascista. È un punto di debolezza della democrazia stessa il non riuscire ad impedire il successo di una forza antidemocratica che si avvale degli stessi strumenti democratici per sovvertire l’ordine. A quel punto, la parola rimane però alla popolazione che deve rimanere vigile al fine di impedire tale ascesa. È quanto è successo a Genova nel 1960 e, in forma decisamente minore, sabato a Bologna. All’incapacità istituzionale di impedire la provocazione neofascista è subentrata l’azione diretta dei collettivi e dei centri sociali che, ripetiamolo, con buona pace di Salvini, hanno costituito un presidio contro il “corteo nero”.

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