La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.
Supermercato h24: un avamposto per guardare al capitalismo contemporaneo

“Supermercato h24” (Digressioni editore, 2024), del nostro Antonio Semproni, è una raccolta di racconti in cui si ride (per non piangere) delle ingiustizie intrinseche al neocapitalismo, tra sfruttamento, alienazione e nuove esperienze di impoverimento. Il supermercato h24, l’ambiente al centro del libro, è sì un non-luogo, ma un non-luogo costantemente esposto a processi di inaspettata politicizzazione, diventando così la sede di un nuovo conflitto sociale. Per gentile concessione dell’editore vi proponiamo un breve racconto dal titolo “Pastificare per la rivendicazione salariale”. Buona lettura!
Quando mia nonna prese l’abitudine di pagare il condominio coi tortelli fatti in casa, non si aspettava mica di produrre ripercussioni sull’economia nazionale. Contava soltanto di arrivare alla fine del mese. Del resto, credeva che le fosse stata accordata una concessione del tutto peculiare, a ogni modo molto vantaggiosa, e, poiché era dubbiosa di averne pieno diritto, ne provava una certa vergogna e glissava sull’argomento. Che nel condominio si praticassero pagamenti in tortelli divenne fatto di dominio pubblico quando lo stesso amministratore, con la passione per i fornelli, si mise a esigerli dagli altri condomini. La sua apparentemente stramba richiesta suscitò l’approvazione entusiasta di larghissima maggioranza dei nuclei familiari, soprattutto quelli con componenti inattivi, che potevano finalmente adoperarsi per far quadrare i conti a casa. Venne immediatamente convocata un’assemblea di condominio straordinaria, la quale decretò che l’amministratore non avrebbe potuto rifiutare pagamenti in tortelli.
A quel punto la voce si sparse nel circondario, complice anche l’amministratore, che si ritrovava con più tortelli di quanti ne potesse mangiare o conservare in frigo e aveva perciò chiesto al farmacista, al macellaio e al meccanico di poter saldare i propri conti in tortelli. Accettarono di buon grado tutti e tre, sebbene il farmacista avesse voluto prima sottoporne un campione a esame tossicologico. Nel giro di una settimana tutti gli esercizi commerciali e i professionisti del quartiere accettavano o addirittura pretendevano pagamenti in tortelli. Due mesi dopo gli scambi in tortelli erano all’ordine del giorno in città.
Fu una manna dal cielo per i disoccupati. Si registrò un abbandono in massa dei corsi di formazione per l’inserimento professionale, che non conducevano ad altro se non all’iscrizione in lunghe liste d’attesa per contratti stagionali o a termine. Farina, uova, pangrattato e gli ingredienti per il ripieno rappresentavano sì un costo, ma irrisorio rispetto al potere d’acquisto ricavabile dai tortelli, e ciò anche quando l’accresciuta domanda di queste materie prime produsse un sensibile rialzo dei loro prezzi. Nel gergo giornalistico le persone che, per sbarcare il lunario o arrotondare, preparavano i tortelli in casa furono indicate come pastificatori casalinghi, categoria che ricomprendeva non solo disoccupati, ma anche lavoratori part-time involontari e pensionati, come mia nonna.
Ne trassero guadagno anche i rivenditori di generi alimentari, che, pur tripudiando per il boom di fatturato, diedero impulso solo molto limitatamente a nuove assunzioni. Gioele Padana, proprietario della più grande fabbrica di tortelli del Paese, già ricchissimo, si ritrovò in possesso di una vera e propria miniera aurifera; la sede centrale della sua impresa venne soprannominata “il deposito”.
Con le dovute proporzioni, anche i pastificatori casalinghi vantavano i loro scrigni. Mia nonna aveva comprato un secondo frigorifero, adibito esclusivamente alla conservazione dei tortelli. Lo aveva piazzato in sala, perché la cucina, tra i sacchi di farina ammucchiati sul pavimento e la macchina impastatrice, era ingombra, e ogni volta che riceveva visite squadernava lo sportello e mostrava le sue creazioni: era caduto il tabù di parlare apertamente di soldi in pubblico.
Molti professionisti di primo piano e manager rampanti, i quali non disponevano di tempo libero a sufficienza per dedicarsi alla creazione della nuova moneta, covarono un’inedita invidia sociale verso i pastificatori casalinghi, rei di arricchirsi senza arte né parte. Un rappresentante del neocostituito sindacato dei pastificatori casalinghi ribatté con sarcasmo che, a ben vedere, la pasta fatta in casa, tra cui dunque anche i tortelli, poteva considerarsi a tutti gli effetti un’arte.
Intanto il decano della facoltà di economia consentì che gli studenti versassero le tasse universitarie in tortelli. Questa decisione costituì un importante riconoscimento del nuovo mezzo di pagamento, soprattutto perché proveniva da un illustre economista. In breve tempo le altre facoltà, e pian piano tutti gli atenei del Paese, si uniformarono. Fatto sta che il piatto forte dello studente fuori sede divenne i tortelli.
La prassi dei pagamenti in tortelli si estese a macchia d’olio in tutto il Paese, relegando ai margini la moneta legale.
L’IperIdeal h24 inaugurò una banca dei tortelli; in ciascun supermercato venne impiantata un’area frigo che costituiva l’equivalente di una filiale. Si trattava di scomparti frigo ordinari, privi di alcuna particolare protezione, con le vetrate perpendicolari al suolo per tenere i tortelli ben in vista e, come dichiarato dall’amministratore delegato dell’IperIdeal h24, far venire “voglia di soldi alla gente”. Gli addetti non avevano esperienza bancaria, ma provenivano dalle fila dei cassieri; nella loro solita divisa e muniti di personal computer anziché di registratore di cassa illustravano le condizioni ai clienti. Questo clima informale, inaudito in una banca, agevolò la richiesta di prestiti, che il neonato istituto finanziario concesse con manica larga. L’amministratore delegato pensava a ragion veduta che non ci fosse bisogno di esigere garanzie a destra e a manca: chiunque si fosse trovato in cattive acque avrebbe potuto sempre imparare a preparare i tortelli in casa e ripagare così i propri debiti.
Un gruppo di economisti, di stampo conservatore, criticò aspramente la diffusione del nuovo mezzo di pagamento; a detta loro, si sarebbe permesso a chiunque di creare moneta corrente, con effetti disastrosi sull’inflazione. Altri economisti, di impostazione radicale, ritennero invece che la classe lavoratrice potesse così riappropriarsi del potere d’acquisto a essa ingiustamente sottratto da anni di blocco della scala mobile e di deflazione salariale.
Il dibattito ebbe eco nelle alte sfere della politica. Larga maggioranza dell’emiciclo parlamentare e il governo concordarono che urgeva regolamentare la faccenda dei pagamenti in tortelli, a prescindere che la si considerasse un bene o un male. Il pacchetto di provvedimenti, varato dopo lunghe negoziazioni e bracci di ferro che avevano rischiato di far saltare il governo, doveva rappresentare un compromesso tra istanze conservatrici e radicali.
Anzitutto lo Stato non soppresse la vecchia moneta. Nemmeno bandì i tortelli; tuttavia, avocò a sé il monopolio della loro produzione: di conseguenza, i tortelli creati da privati cittadini erano inservibili o, per dirla più sottilmente, in termini di legge, fuori corso legale.
Le banche commerciali potevano trattare sia la vecchia moneta che i tortelli, mentre l’IperIdeal h24 ottenne specifica licenza per continuare a esercitare l’attività di banca dei tortelli.
Nella Zecca dello Stato venne costituito uno specifico dipartimento dedicato ai tortelli, alla cui guida fu posto Gioele Padana[1]. Il nuovo dipartimento indisse un maxi concorso per decine di migliaia di assunzioni. Il personale venne tuttavia reclutato solo in parte tra i pastificatori casalinghi, i quali soffrirono la concorrenza di cuochi e personale alberghiero. Molti disoccupati rimasero così a spasso, vedendosi per giunta proibita l’attività che costituiva l’unica loro fonte di reddito. Inoltre, nessun provvedimento fu preso per i salari della classe lavoratrice, che con il giro di vite sui tortelli perse ogni possibilità di difendersi dal caro vita.
Dalle ceneri del disciolto sindacato dei pastificatori casalinghi nacque una congregazione di falsari. A nulla servirono i particolari stampini usati dalla Zecca dello Stato: i falsari, anche forti di connivenze con ex pastificatori casalinghi ora assunti alla Zecca, sapevano riprodurre i tortelli aventi corso legale con precisione millimetrica.
La congregazione si riunisce proprio oggi, alle undici, nella parrocchia del circondario ove viveva mia nonna. Il parroco ha indetto una messa per ricordarla; poi tutti in oratorio a pastificare per la rivendicazione salariale.
[1] Questa nomina suscitò le critiche di chi vi vedeva un’indebita commistione tra interessi pubblici e privati.
La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!