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De Pascale, il “Mister Cemento” del PD che sarà Presidente dell’Emilia-Romagna
L’Emilia-Romagna che si sta per presentare al voto domenica 17 e lunedì 18 novembre è una regione che si sta ancora leccando le ferite dall’ultima alluvione che l’ha colpita un mese fa, che ha provocato danni ingenti e ha tolto la vita a un ragazzo.
Per tantissimi anni non si erano visti fenomeni di questo tipo nella zona. Non che esondazioni di fiumi non vi siano mai state, come ci ricordano gli anziani del posto. Una delle più terribili fu quella del Reno, nel 1966, e anche precedentemente il territorio è stato colpito varie volte da eventi del genere.
Certo, come dicono gli esperti, l’Emilia-Romagna è una regione a rischio, poiché un mare caldo come quello Adriatico genera correnti che si scontrano contro la dorsale appenninica e il rischio di avere ampi fenomeni piovosi è tutt’altro che remoto. Questo oggi più che mai. Al di là che piacciano o meno definizioni come “cambiamento climatico”, è indubbio che la temperatura dell’Adriatico sia aumentata negli ultimi anni. Quindi sì, un cambiamento c’è senz’altro stato e di questo non si può non tenere presente, così come del fatto che l’Emilia-Romagna ha subito ben quattro alluvioni negli ultimi due anni con precipitazioni piovose decisamente abbondanti. Eventi che ormai non possiamo più considerare “anomali” o “straordinari” vista la frequenza con la quale si sono presentati.
Detto questo, ci sono alcune considerazioni che vanno fatte.
Innanzitutto, negli anni sono state fatte importantissime opere di messa in sicurezza del territorio, come le imponenti casse di espansione del fiume Reno proprio dopo l’esondazione del 1966, che sono riuscite a prevenire, completamente o quasi, disastri di grossa portata.
Ma le cause dei recenti tragici fatti non si riducono solo alla mancata manutenzione del territorio, che sicuramente è un tema importantissimo e necessario, ma che da solo non riesce a spiegare tutto quello che è successo.
La realtà è che in Emilia-Romagna, così come in tanti altri luoghi in Italia, manca un minimo di programmazione e di capacità di guardare oltre al presente con scelte figlie di una politica basata sul mercato e le speculazioni.
Pensiamo, per esempio, allo spopolamento dei borghi di montagna, questione di cui non si interessa sostanzialmente nessuno nella politica delle grandi percentuali, ma che è in realtà determinante. L’abbandono delle zone di montagna e di alta collina da parte di famiglie e, soprattutto, di giovani ha provocato un importante impoverimento di quelle aree che hanno visto privarsi sempre più di persone che si potessero occupare della terra e dei boschi. I risultati li abbiamo visti con queste alluvioni. Intere aree di terra completamente smottate – perché in balia dell’incuria – e franate nei fiumi, insieme ad alberi interi, tronchi e rami che bloccandosi contro i ponti hanno innalzato i livelli delle acque.
Lo spopolamento di questi borghi, d’altronde, non è che una conseguenza dei mancati investimenti per creare lavoro e della chiusura dei servizi, come i punti nascita (ma non solo) ai quali la giunta di Bonaccini ha messo il lucchetto. È normale, se i cittadini della montagna vengono abbandonati, i cittadini della montagna si troveranno costretti ad abbandonare la montagna. Niente di imprevedibile e niente che la politica “economicistica” delle giunte guidate dal PD abbia mai voluto prendere seriamente in considerazione.
Altra questione rilevante sono le immani colate di cemento che hanno coperto la terra della regione negli ultimi anni. Lo dicono i dati, che nel solo anno tra il 2020 e il 2021hanno visto la regione ricoprire ben 658 ettari, piazzandosi al terzo posto nella poco simpatica classifica delle regioni italiane che hanno aumentato il loro consumo di suolo. Lo dicono i dati, si diceva, ma se ne rende conto chiunque viva nel territorio. Improvvisamente sono spuntati come funghi enormi centri commerciali ovunque, seguiti da costruzioni di interi nuovi quartieri di villette tutte uguali con prezzi allucinanti. Per non parlare dei nuovi terreni destinati alla logistica che sembra essere diventata una ragione di vita per gli amministratori delle città e dei comuni che la incentivano, la difendono e sostanzialmente le regalano pezzi di territorio dove cementificare, in barba al tessuto economico-sociale che da questa viene sempre più impoverito a causa dei tipici contratti in subappalto e precari, ai quali si aggiunge la beffa dell’aumento dell’inquinamento che essa provoca, dovuto all’incremento del traffico merci su gomma. Però si fa la città 30 km/h.
Insomma, si piangono i morti e si urla alla catastrofe per i danni dovuti ai disastri ambientali, ma al contempo si fanno o politiche spot che non servono a nulla o maggiormente politiche che vanno in tutt’altro senso. Nel senso di aumentarli questi danni. Una politica che distrugge il territorio e poi piange tirandosi fuori dai colpevoli poiché la colpa sarebbe di qualcosa di grande e incontrollabile, non è politica. È, ad essere buoni, affarismo.
In Emilia-Romagna certa ipocrisia è ben conosciuta, lo dimostra la famosa legge urbanistica regionale sul consumo del suolo (analizzata in un articolo di Matteo Bortolon e Cristina Quintavalla), annunciata dalla giunta Bonaccini come un importante freno alla cementificazione e alla speculazione e poi rivelatasi essere l’esatto opposto, ovviamente sulla pelle dei cittadini.
Ma non è finita qui.
Giusto per rendere chiaro quale sarà la linea futura, il Partito Democratico sostenuto dagli alleati di Alleanza Verdi Sinistra (e farebbe già ridere così), dal Movimento 5 Stelle, Azione e altri, ha scelto Michele De Pascale come candidato Presidente, che è ovviamente il grandissimo favorito.
Sindaco di Ravenna per due mandati, ha amministrato una città che durante il suo mandato ha ottenuto un particolare record: secondo i dati ISPRA, sempre nel 2020 ha messo a terra addirittura 68 ettari di cemento, seconda in Italia solo a Roma.
Evidentemente c’erano i soldi per questo, non per mettere in sicurezza il territorio come chiedevano i cittadini di Ravenna e provincia, finiti sotto metri e metri di acqua ben più di una volta in questo biennio.
Se le candidature devono dare un segnale, il segnale per gli emiliano-romagnoli è di colore grigio, come il futuro che li aspetta.
D’altronde, la situazione generale di queste elezioni regionali non appare di colori differenti.
PD e alleati pare abbiano sostanzialmente rinunciato a fare campagna elettorale, poiché il rischio di fare passi falsi è molto alto. I cittadini sono decisamente arrabbiati per la gestione dell’emergenza ambientale, quindi meglio non esporsi troppo sperando in un’affluenza bassa e nella mobilitazione elettorale degli iscritti e dei simpatizzanti, che in regione sono storicamente molti.
Dall’altro lato, il centrodestra sembra averla data persa in partenza. Non sta spingendo con tutte le sue bocche da fuoco e non sta incalzando la giunta regionale su evidenti errori e nemmeno sta provando a cavalcare eccessivamente la giusta rabbia dei cittadini.
La regione avrebbe potuto essere contendibile, soprattutto alla luce degli eventi recenti, ma sembra che le forze siano maggiormente concentrate sull’Umbria, probabilmente anche perché la Meloni potrebbe non voler fare uno sgambetto così alla Schlein. Se infatti perdesse la sua regione, la segretaria del PD verrebbe sicuramente silurata dal suo partito, ma per la Meloni lei rimane l’avversaria perfetta da preservare il più possibile.
A dimostrazione di ciò il fatto che, ancora una volta (dopo l’impresentabile Borgonzoni del 2020), il centrodestra ha sbagliato la candidatura. La Ugolini è sì una civica (e questo è un fatto buono per il centrodestra in Emilia-Romagna), ma appare impacciata e non riesce a dimostrare un carisma adeguato per essere considerata una reale sfidante. Il suo passato come sottosegretario del governo Monti e per aver iscritto il suo nome in diverse riforme peggiorative nel mondo dell’istruzione non ha certo aiutato ulteriormente.
In questo marasma di pochezza politica e di malcontento generale (ricordiamo anche il grave ritardo dei fondi governativi per gli alluvionati), lo spazio per un terzo incomodo ci sarebbe stato, ma da un lato i 5 Stelle hanno scelto il campo largo, dall’altro lo spegnimento consenziente della campagna elettorale e la volontà di ridurre il confronto a soli due candidati (giovedì 14, a tre giorni dal voto, il Resto del Carlino ha organizzato un confronto pubblico invitando solo De Pascale e la Ugolini, malgrado i candidati a presidente siano quattro, in barba a qualsiasi par condicio) ha fortemente penalizzato Federico Serra, candidato di Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Partito Comunista Italiano, che comunque sta quantomeno tentando di portare all’attenzione generale proprio i temi di cui si è parlato sopra.
In un contesto in cui parte della popolazione nemmeno sa che si andrà a votare, tanto poca è stata l’attenzione su queste elezioni regionali, ci si aspetta un’affluenza estremamente bassa, in una regione come l’Emilia-Romagna che ha storicamente percentuali altissime di partecipazione al voto, ma che ha già dimostrato di sapere esprimere il proprio malcontento non recandosi alle urne. Come nel 2014, quando votò solo il 37% dei cittadini, record negativo storico. Peccato che la giunta Bonaccini entrante all’epoca non tenne per nulla conto di questo drammatico dato e le politiche attuate non cambiarono di mezzo millimetro dai piani prestabiliti (vedasi la già citata chiusura dei punti nascita montani come esempio).
Lunedì avremo un nuovo presidente di regione con pochissima legittimazione popolare e con idee vecchie, tese a favorire sempre i soliti, a continuare a distruggere una sanità ormai al collasso, a cementificare, però in maniera “green”, grazie all’immancabile supporto di Alleanza Verdi Sinistra.
Dateci un antidoto, per favore.
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