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Lettera a Giuseppe Semeraro, poeta e attore del politico e del sacro
Caro Giuseppe,
ho letto Apocalisse apocrifa (Les Flâneurs, Icone, 2023) la scorsa estate in due giorni, accesa da una folgorazione. Come scrive Luca Crastolla in prefazione, citando Paul Beauchamp, “la letteratura apocalittica nasce per aiutare a sopportare l’insopportabile”. Il libro è ispirato all’Apocalisse di Giovanni e ai Vangeli Apocrifi, in parte ho riconosciuto anche quelli gnostici, il Vangelo di Tomaso, in particolare. Diviso per Sette Sigilli, più altre due parti: Altare materno, e Canto notturno di un migrante dell’Asia. È un testo politico, di denuncia dei mali del mondo, che ha nello stile qualcosa di Dino Campana, qualcosa di De André, qualcosa di Antonin Artaud e, indubbiamente, ispirazioni di militanza poetica prossima al tuo conterraneo Antonio Verri. La potenza della tua scrittura è nella visionarietà, in una scintilla di grande potenza espressiva.
II Sigillo – Le anime
Vidi il tramonto fermarsi
nell’ultimo raggio di luce
immobile come un occhio divino,
vidi mostruose nuvole all’orizzonte
danzare nel cielo come fiamme,
vidi nei tronchi degli alberi accendersi
uno a uno piccoli fuochi e bruciare lenti,
vidi avanzare tempeste di sabbia e coprire ogni cosa
vidi il deserto prendere a morsi la Terra
vidi boschi interi diventare cimiteri
vidi gli alberi diventare croci nere.
Cadevano dall’alto pietre roventi
incendiando l’aria di rosso,
infiniti arcobaleni nascevano
s’accendevano simili a luminarie.
Sulla festa dell’ultimo giorno
cadde una luce gravida mai vista in cielo.
Bruciarono tutte le stelle
cadendo a gocce in una pioggia di scintille
immobili gli uomini e le bestie
guardavano in alto, colti dalle lacrime
muti, in ipnosi di meraviglia.
Una tempesta di luce
illuminò un mondo mai visto
scricchiolò la volta celeste
e il cielo ci cadde a pezzi negli occhi.
Vidi anime inseguirsi nell’aria
e in vortice danzare
diventare sciame immenso,
si attraevano e si respingevano
come in un balletto studiato,
vidi anime fondersi una all’altra
e diventare mare in cielo,
vidi impetuose onde gonfiarsi
farsi alte come montagne
e coprire la Terra
sotto un lenzuolo d’acqua.
Sul viso del mondo,
vidi venti soffiare violenti
da piegare al suolo
ogni cosa viva.
Vidi anime aggrupparsi a stormi
inseguite da demoni
perdersi e poi ritrovarsi
fino a ricomporre il gruppo in volo.
Vidi nel cielo infiniti disegni:
la danza di tutti i sensi,
eclissi, spirali e curve dolcissime
una vertigine di ascese, cadute e forze verticali
vidi la lotta di tutte le forme della materia,
l’energia nella sua battaglia eterna
vidi il caos di una nuova creazione
il disordine perfetto di ogni regola,
e fu come se ogni cosa del mondo
fosse tornata al suo primo parto
vidi la vita ricomporsi al suo inizio
nel cielo vidi una goccia di bene.
Da quella goccia di bene nascono i mondi, nuovi mondi possibili, fatti di amore e fratellanza, mondi che ricompongono le macerie. È un’apocalisse apocrifa poiché in quanto gesto artistico, racchiude in sé un atto magico, con l’auspicio che colui che ha avuto fame e sete, che fu inchiodato a crocifisso, e magari oggi è un migrante, un folle, un eroe contemporaneo, e in quanto tale emarginato, colui, coloro, costoro possano ritrovarsi tra anime affini e ricostruire un mondo sacro, e perciò umano, basato sul bene, sulla bellezza, sulla giustizia.
A questo preziosissimo diamante si lega un altro tuo libro uscito nel 2023 per AnimaMundi, raffinatissima casa editrice di Otranto, che ho conosciuto la scorsa estate entrando nell’omonima libreria e restandone profondamente colpita, tra le altre cose AnimaMundi ha pubblicato uno degli ultimi libri di Roberto Carifi, Ablativo assoluto, poeta rilkeiano, poeta-filosofo, peculiarmente attento alla profondità dell’esistente (uno dei più grandi poeti italiani viventi). Ma tu, Giuseppe, non sei da meno, perché con Requiem per gli ulivi hai tracciato i contorni di una tragedia epocale che ha trasformato la Puglia in un cimitero di alberi. Come scrive Cristina Carlà in prefazione: “la poesia di Giuseppe è un riscatto, una denuncia, una fotografia che diventa un esercizio morale attraverso cui pensare e guardare il presente non nella forma di quello che vorremmo, ma nei termini di ciò che è veramente.”
Caro Giuseppe,
questa tua attenzione all’alterità assoluta che è la natura, che è però anche la nostra casa, nostra madre, un corpo che ospita i nostri corpi, è commovente. Scrivere della Xylella rendendo la denuncia poesia raggiunge la potenza di un Requiem di Mozart, e fa rabbrividire perché è insieme rivolta, ma una rivolta che assume i termini del sublime, e mai la volgarità della cronaca.
Ricordo ulivi
con abiti di luce
vestiti per la raccolta
come spose d’inverno,
sotto i tronchi
posato sulla terra
i veli bianchi
di antichi sposalizi.
Questo amore per la terra, per la tua terra, questa empatia profonda è traccia di un sentire angelico, mistico, e perciò diventa ciò che Deleuze chiama in Immanenza una vita, una vita, appunto. Una vita che resiste alle sferzate della morte.
Per ogni ulivo che muore
muore la cima che siamo stati
muore la nostra radice più profonda
qualcosa dai nostri occhi dilegua.
Possa il nostro sguardo
sfondare le nuvole del rimpianto,
possa il seme di una visione
fiorire ancora negli occhi
in un nuovo sibilo lungo.
La coscienza di appartenere all’Onnicreatrice, come la definisce Hölderlin, e di non potersene discostare a meno di uccidere noi stessi, in te, Giuseppe, è immensa e inequivocabile. Tale coscienza sorge probabilmente dalla tua esperienza e dai tuoi studi, per esempio in da qui a una stella, l’infinito scritto sul corpo (AnimaMundi, 2021) tracci un legame profondo tra corpo umano e universo. Mi hai raccontato che questo libro nasce durante il lockdown, quando i nostri corpi erano bloccati, le nostre passeggiate proibite, una malattia, chissà quanto “naturale”, opprimeva, schiacciava e uccideva i più deboli. Allora, mentre io m’iscrivevo alla magistrale in Filosofia, per far fronte a una pesante crisi depressiva, cominciata proprio durante il confinamento, tu hai iniziato a studiare il corpo umano, le cellule e gli astri scoprendo che “la distanza che fonda l’immaginazione è quella tra noi e una stella, eppure nella realtà, se cucissimo con un filo tutte le molecole del DNA presenti in ogni cellula del nostro corpo arriveremmo fino a Plutone.”
La scoperta di natura scientifica che il nostro corpo sia sconfinato e che la sua potenza esca dal sistema solare ti ha donato un’altra scintilla verso la vita in sé.
È qui al centro del corpo
questa immensa solitudine politica
sarà qui la battaglia
per ciò che resta di sacro
tra le reliquie del nostro corpo.
Non posso che esserti grata, per avermi permesso di accedere a questa bellezza cosmica, di cui sei tramite. Vita in sé, vita fisica e metafisica, cosmica coincidono in queste tue opere sfolgoranti, e non sorprende che tu sia tramite, non solo attraverso la scrittura, ma con il tuo stesso corpo, con la tua voce, che giunge sconfinata a chi assiste ai tuoi spettacoli, ai tuoi reading. Così, in effetti, ci siamo conosciuti, quando la tua voce, la tua parola mi rapì sul palco di piazza Salandra a Nardò, ti ascoltai in lacrime, e ci demmo il cambio sul palco. Ti dissi che quella goccia di bene mi aveva scosso, dandomi una piccola speranza nell’apocalisse quotidiana.
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