La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.
Sulla nozione di “Occidente”
La parola “Occidente” è una parolaccia e non andrebbe detta.
È diventata archetipica, in senso junghiano, ossia è ormai contenuta nell’inconscio collettivo, insieme con “mito” e “religione”; è una categoria simbolica che struttura la nostra cultura e la mentalità nell’approccio ad ogni questione internazionale.
La cultura mitopoietica per eccellenza, creatrice di miti e quindi di archetipi, è quella greca. L’Occidente concettualmente nasce nel mondo greco, e in qualche modo radica il perverso concetto di “noi” e “loro” in una differenza di culture, di costumi, di religione: “Orbene, gli abitanti dell’Asia, dicono i Persiani, non si preoccuparono per nulla delle donne rapite; mentre i Greci, a causa d’una donna spartana, raccolsero una grande spedizione militare e, venuti in Asia, distrussero il regno di Priamo. Da allora, sempre, tutto ciò che è greco è da loro considerato nemico. Poiché i Persiani considerano l’Asia e i popoli che vi abitano come cosa loro, con l’Europa, invece, e con il mondo greco in particolare, ritengono di non aver nulla in comune” (Erodoto, Le Storie, Libro primo).
L’Occidente è sia mito, nella lega degli Achei contro Troia nell’Iliade, che storia come nelle guerre persiane contro l’impero orientale di Dario e di Serse.
La battaglia di Maratona del 490 a.C., trionfo dell’Occidente greco, non solo rappresentò una svolta militare, ma fu anche un momento di unione per le città-stato greche, con Atene che si afferma come baluardo della libertà e promotrice di valori panellenici.
Milziade, generale e politico ateniese, nelle parole attribuitegli da Erodoto in occasione della battaglia, avrebbe detto: <<Callimaco, ora dipende da te rendere schiava Atene, oppure assicurarle la libertà e lasciare di te, finché esisterà il genere umano, un ricordo quale non lasciarono neppure Armodio e Aristogitone>>.
Proprio Erodoto evidenzia, per la prima volta nella letteratura storica antica, a proposito delle guerre degli antichi greci contro l’Impero persiano, l’immagine di un Oriente schiavo, contrapposto ai valori di libertà occidentali dei quali la Grecia si riteneva portatrice.
Interessante che l’affermazione di questa libertà passi necessariamente attraverso la guerra, come anche che la libertà sia riferita ai soli agatoi e non anche agli schiavi su cui era fondata l’economia ateniese ed ellenica in generale; ma tanto basta a radicare nella nostra cultura l’endiadi della belligeranza – eroica – e della libertà del cittadino.
Esiste anche una definizione di Occidente geografico, o meglio geopolitico, nella linea che divise il mondo in due, attraverso il Trattato di Tordesillas del 7 giugno 1494 che divise il globo al di fuori dell’Europa in due semisfere di influenza tra Spagna e Portogallo, lungo il meridiano che passa al largo della costa del Senegal. Alla Spagna andava l’Occidente, al Portogallo Africa e Asia.
Tuttavia, come in ogni questione occidentale e giuridica che si rispetti il dramma sorse dal fatto che, essendo la terra sferica, la riga dall’altra parte del globo passava per gli interessi petroliferi dell’epoca: le Molucche con le loro spezie, per la Spagna certamente occidentali.
Il meridiano di partenza venne comunemente indicato dai portoghesi come raia, e in maniera del tutto speculare dagli spagnoli come raya, ossia rispettivamente “confine” e “riga”.
In ultimo, non meno importante la definizione di Occidente in senso giuridico.
Bisognerebbe riflettere, in quest’Europa così frettolosamente atea, che l’origine dei diritti soggettivi, vero core business della narrazione occidentale, viene dal cristianesimo e in particolare da un francescano che partecipò alla disputa sulla povertà, oggi davvero poco attuale (segno dei tempi, sui social ho avuto modo di sentire un prete dire, forse provocatoriamente, che Gesù era un imprenditore…).
Anche per questo motivo di una cosa si è certi, con l’ennesima definizione in negativo: dove c’è Islam non c’è Occidente, almeno a partire dall’undici settembre.
È dalla definizione di ius come potestas del francescano Guglielmo di Ockham che alcuni ritrovano la svolta della nozione di diritto soggettivo, anticipando i tratti individualistici e cristiani della concezione moderna, a dire il vero, ormai parossistici, nel momento in cui non trovano più coesione né in una morale religiosa e nemmeno in una laica: in sostanza la libertà e il diritto dell’altro non iniziano mai, perché mai finisce il nostro, e ciò determina inevitabilmente conflitto e mutamento del “centro di interesse” in senso schmittiano. Solo volontà individuale assoluta in una società atomizzata di singoli consumatori, con unico parametro di valore la ricchezza: un bel colpo di rasoio che nemmeno Occam avrebbe voluto. Del resto, davvero non c’è nulla di più occidentale del teologo che venne soprannominato Doctor Invincibilis.
Ciò premesso, è evidente la parola Occidente non sia mai un termine neutro, ma nella storia ha assunto valenza non solo culturale ma economica, geopolitica, giuridica e sempre in chiave contrappositiva: un’identità che si afferma sempre a scapito di qualcuno che la definisce offrendo, potremmo dire, il negativo della pellicola da cui ricavare la foto.
Ecco perché è sempre legittimo dubitare della buona fede di chi fa uso del termine Occidente: è parola divisiva per eccellenza, che in tutte le sue declinazioni appare contraddittoria e conflittuale, laddove è sempre un nemico che la definisce, e quindi di un nemico ha bisogno.
Peraltro, in maniera affatto superficiale; dicendo noi non siamo persiani, noi non siamo schiavi (ma ne facciamo uso), non siamo selvaggi (ma li colonizziamo e li sfruttiamo), non siamo comunisti (ma produciamo in Cina), siamo per il libero mercato (ma costituiamo monopoli finanziari) fondiamo un’identità di contraddizione.
Non sarà che evocare l’appartenenza a un gruppo, ossia una interdipendenza, sia sempre opera di falsificazione?
L’interdipendenza è il forte legame caratterizzante gli elementi che compongono il gruppo, ma l’impressione è che in alcuni casi venga prima la pianificazione dell’interdipendenza e solo dopo il gruppo.
Fu Lewin a sviluppare la sua teoria dei gruppi esaminando le dinamiche della Germania nazista, evidenziando l’elemento chiave nella cosiddetta “interdipendenza”, ossia il collante del gruppo che è allo stesso tempo identità e forte legame.
L’interdipendenza, in particolare quella “del destino”, unisce entità statali ed individui accomunati da un destino comune, che ne determina la coesione.
Un esempio è il celebre caso dell’empatia fra ostaggi e rapinatori della banca a Stoccolma nel 1973, in cui fra gli stessi si instaurò un rapporto di gruppo, appunto, portando gli ostaggi a testimoniare a favore dei rapitori e addirittura a sposarli.
È proprio la possibilità di aggregare in un gruppo vittime e carnefici che deve sempre instillare il sospetto sull’etichetta del prodotto: made in the west.
Poniamo il caso che uno Stato convinca un altro ad esportare la democrazia con le armi e a rinunciare alle materie prime del nemico in favore delle proprie che costano sette volte tanto: potremmo dire che ci troviamo di fronte a una forma di sindrome di Stoccolma.
Eppure è l’inevitabile conseguenza dell’appartenenza al “noi contro loro” che confonde un piano etico con quello economico e geopolitico.
Guarda caso, ci fu anche un illustre italiano, Enrico Mattei, partigiano, imprenditore e cattolico, che fu tacciato dalle “sette sorelle” di essere “antioccidentale” perché faceva gli interessi energetici e petroliferi del nostro paese, proponendo collaborazioni paritarie col terzo mondo, contrarie agli interessi americani, francesi e britannici. Celebre l’intervista, che si trova ancora nelle teche RAI, in cui affermava di capire il perché fosse osteggiato all’estero, ma si chiedeva come fosse possibile che fossero proprio alcuni italiani ad allearsi con i grandi interessi petroliferi stranieri…
Un celebre giornalista italiano tempo fa scriveva che fosse tardi per il piano Mattei e che l’Africa fosse antioccidentale, mentre proprio Mattei era tacciato di essere un nemico dell’Occidente…
L’Occidente che troviamo nel linguaggio della politica e sulla stampa internazionale da quale raya ha inizio, quale collocazione geografica ha?
Non sarà molto più a Occidente dell’Italia?
A questo punto, non sposiamolo anche il rapinatore.
La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!