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Lettera a Enzo Campi su Nietzsche


5 Gen , 2025|
| 2025 | Terza Pagina

Caro Enzo,

Fate attenzione a non calpestare il testo!(animalìe e bestiarî del circo nietzscheano) (puntoacapo Editrice, 2024) è un poema che occorre maneggiare con cura. Leggendoti ho sentito riecheggiare lo Zarathustra, tanto che prima di scriverti ho voluto rileggerne il prologo, il capitolo sulle tre figlie del deserto, e quello sulle tre metamorfosi. La tua scelta di assumere il punto di vista dell’aquila, del serpente, della scimmia, della talpa, del cammello, del leone, del fanciullo e della sirena è forse un atto di rovesciamento del concetto di superuomo. Il tuo poema nietzscheiano e antinietzscheiano si compone di sei sezioni: Preludio, Il superuomo e l’antieroe, Danzare la danza, Ecco l’uomo, ecco la bestia, Postludio, Chiosa, e riapertura. In Preludio l’eterno ritorno sostituisce padre e madre, non esiste origine, come nel Nietzsche di Deleuze, tutto procede nel divenire. Dal monte comincia il tramontare, un superbo inizio, quel discendere, e divenire animale. Nella catabasi di Zarathustra riconosci il percorso dell’umano, che conosce la grande vertigine solo nella discesa, ed è dagli abissi che si levano in volo uccelli rapaci, è nel più basso che si trova il più alto, così com’è nella morte di Dio che si trova il divino, la danza di tutte le creature. Danzare la danza è la sezione in cui torna l’ipotesi del sangue, solo con il sangue si scrive, e il sangue è spirito. Ma chi scrive con il sangue? Lo sciacallo. Lo sciacallo che porta in giro la carogna dell’alce?

Bestiario nietzscheiano, ovvero, lo spazio dell’altrimemti, la rivolta degli uomini contro la legge di natura, la rivolta della natura contro l’umano. Torna in te il tema della rivolta. Divenire. Rivolta. Corpo senza organi. Perciò, è il Nietzsche di Deleuze. Non l’anarchico aristocratico, ma il sottosuolo che ribolle, risale dal basso, l’infero che contiene il divino. Ma cosa vuoi che faccia?/Superarmi forse?//Quante volte ancora dovrò allungare il passo?/Dieci volte al giorno, rispose l’avvoltoio,/una volta per ognuna delle verità da estirpare/da quella terra-madre ripetutamente offesa/dai tuoi sudici calzari di ferro e cuoio.

Cosa ci dice questo nuovo Zarathustra? Che non cederà all’avvoltoio, che la rivolta resterà della terra? Il bestiario è l’invisibile del testo, perciò non va calpestato, perché un rischio esiste, di non vedere l’invisibile, di non poter toccare l’intoccabile, di non poter esprimere l’indicibile. In tale selva ti avventuri con il passo della notte, come a voler trafiggere i fantasmi – sono reali i fantasmi? Sono spetti? O sono i vissuti nostri nascosti e resi mostruosi dall’ inconscio? – per ritrivare l’anelito alla vertigine e alla contro-vertigine. Non ci sono guardiani nel tuo poema, tutto resta spazio liscio, e si espande con il movimento dionisiaco della notte. È solo notte, senza giorno, metafora hölderliniana della vita sotterranea. Nessuna ricerca del mondo dietro il mondo, tu sei nella frattura tra i mondi che tutti li squarcia. La notte, l’antimateria, l’anticristo. Il ritorno al primitivo riemerge nella poesia pensante, nel non ritornare a Dio ma non esservisi allontanati se non per il molteplice, suo contraddittorio necessario. Aquila e serpente sono due volti dello stesso essere che sempre ritorna e si rivolta: la notte assoluta, l’eterno divenire, il precursore oscuro e senza origine. E diviene così un poema che svela attraverso il nero, il disordine primigenio come verità, la parola ai non parlanti, la memoria a chi fu dimenticato. Aquila e serpente,/serpente e sirena,/sirena e ragno,/ragno e leone,/leone e tigre si uniscono,/a coppie,/credendo di costruire/le nuove creature/per la nuova dimora./Ma di poca natura e tanto corpo/riecheggiano il dono e il dolo./Postuma la piuma,/silenziato il canto,/lucidato l’artiglio,/tutto gioca a nostro favore e per favore:/fate attenzione a non calpestare il testo!//koéna aném tau sela/emu taikì rikol/utar araz strahu jo.

Alcuni versi sono scritti in una lingua immaginaria, che rende in modo vivido l’essenza dell’alterità non umana. Ti ho chiesto di cosa si trattasse, mi hai detto fosse la lingua della sirena: «La lingua della sirena è formata da glossolalie, e quindi è una lingua inventata. Procedo per appunti, anche con un po’ d’incoerenza (in psico-patologia le glossolalie sono per l’appunto un linguaggio, per così dire, privato e quindi incomprensibile). Le glossolalie possono essere considerate come il linguaggio degli iniziati, e quindi come un linguaggio profetico, ma anche come il linguaggio degli schizofrenici. Per la chiesa le glossolalie sono una sorta di preghiera, un linguaggio altero e alterato formato da sonorità il più delle volte incomprensibili. Date queste premesse si trattava di conferire alla sirena un linguaggio oscuro e criptico, in grado di circuire, ammaliare ma anche capace di far impazzire e, in ultima istanza, uccidere. Da qui il ricorso alle glossolalie. La glossolalia definita da San Paolo come il dono delle lingue, viene da altri definita come il linguaggio dello spirito santo, ma in Artaud, per esempio, le glossolalie sono le voci del duello tra l’uomo e il dio. Quindi si potrebbero considerare anche come la lingua del conflitto. Nel nostro caso specifico la sirena in quanto superdonna (metà umana/metà animale) entra in conflitto con il superuomo (lo stesso Nietzsche filtrato dal suo alter ego, cioè Zarathustra). Perché? Perché in realtà la sirena è la donna che manca a Nietzsche, è la donna che manca in Nietzsche. E la sirena, in un certo senso, è la donna perfetta: ha tanto dell’animale e quel che basta dell’umano. La sirena ha qualcosa del serpente (la schiuma in cui la vulva della sirena/ cerca il collo del serpente/ in un crogiolo di scaglie e di squame) e quindi Nietzsche è egli stesso serpente (un po’ giullare, un po’ poeta, un po’ viandante, un po’ filosofo, un po’ animale, un po’ superuomo, un po’ profeta, un po’ esaltato). Secondo Deleuze il serpente rappresenta l’eterno ritorno. E quest’eterno ritorno si dà nell’alleanza tra i suoi alter ego (Zarathustra, Dioniso, il superuomo) e le sue idealizzazioni femminili (Arianna, la sirena). Ed è in questo gioco di alleanze o, per meglio dire, di relazioni che si consuma la saga. La sirena dopo aver ammaliato si ricorda la sua funzione di portatrice di morte e mette a morte sé stessa (la sirena spiaggiata). Ma c’è un nuovo essere perfetto pronto a entrare in gioco: il minotauro, che è anch’esso metà uomo e metà animale. Ma anche nella nuova configurazione delle dramatis personae c’è bisogno di una donna. Così Arianna sostituisce la sirena. La lingua della sirena è sacra e insieme profana. Estremamente concreta ma anche decisamente indefinita.»

In conclusione, condivido alcuni dei componimenti presenti in quest’opera magistrale, e ti ringrazio per aver trovato l’innesto perfetto tra poesia e filosofia.

Una talpa che si insinua nel profondo, 

un nano che si erge sulla madre terra, ma solo per metà, 

e uno storpio che si trascina a stento 

lungo il sentiero che conduce al nihil.

E non è proprio questo nulla la nostra sola e unica meta?

Prima d’ogni utopica risoluzione, 

prima del battito di ciglia 

che si ostina a scandire il ritmo dell’immediato,

prima che il macigno 

venga scagliato contro l’incautoviandante, 

prima di subire il sadismo del labirinto, 

prima di sostare sulla soglia sapienziale 

ci toccherà osservare quel grano di sapida follia 

che nasce e si mostra come perla 

e sempre rotola dal capo alla coda

scavando, sotto pelle, un cunicolo. 

Prima del dato di fatto, 

prima dello spasmo che muove e ribalta i nodi, 

prima che tutta questa disseminazione 

si dichiari inutile e infertile, 

prima che il coro rinnovi il ritualedella punizione, 

prima che il tamburo 

annunci l’avvento della consumazione 

ci toccherà sputare su quella perfida luce 

che ancora persiste a spargere d’intorno

vacue meteore private di ogni funzione salvifica.

E una volta giunto

alla biforcazione dei sentieri

ti toccherà scegliere.

Vuoi essere un giullare o un poeta?

Un pavido ornitorinco

indeciso tra l’acqua e la terra

o un mastodontico elefante

che tutto schiaccia

con le sue zampe imperiose?

No, Zarathustra, 

tu non provieni dall’oriente,

tu sei un europeo che danza

sulla punta del suo lapis

perdendo l’equilibrio

e cercando la caduta.

Non bastano sette giorni di digiuno,

solo chi ha visto la propria morte

può affermare di essere nel giusto.

***

tekua aukèn

nekù keùn

ekuàn ketua

pneuma sordo risuona

compatto a spaziare spartire

tumer ora 

rem rume

temur metèm

si spinge battendo e modula

nel ritmo l’idea di un connubio

thumos soma 

thauma aumàt

masoch muthos

Così cantò la sirena. Si cantò verace e vorace 

riproponendo la solita interrogazione: 

quale senso? 

quale sesso? 

***

E le bestie conoscono il profondo, 

già assecondano il loro destino di prigionia. 

L’homo invece si illude di sfuggire alla spina.

Diciamolo pure 

– e che questo, solo questo, risuoni come verità – 

la spina è destinata, da sempre, a forare. 

Il sospiro di sollievo di ovi e ovuli è dettato 

proprio dal corpo a corpo con lo stelo. 

E il corpo della sirena è uno stelo 

i cui fiori sono squame edotte alla seduzione. 

Chi seduce chi?

Chi illude chi? 

Chi viene ammaliato e manipolato? 

L’uomo o il superuomo?

Poesie tratte da Fate attenzione a non calpestare il testo!(animalìe e bestiarî del circo nietzscheano)(puntoacapo Editrice, 2024)

Di:

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