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La strategia statunitense in Ucraina e il ruolo dell’Europa

Sarebbe esilarante osservare nei Ministeri degli Esteri dei paesi europei il graduale cambio di marcia. Bisognerà adeguare il linguaggio, impartire nuove direttive. Immagino l’imbarazzo degli ambasciatori europei in Ucraina e in Russia. Immobili e muti. Sarebbe esilarante se questo spettacolo non fosse in realtà tragico. L’ex ambasciatore italiano a Kiev, dopo 4 anni di soggiorno nel Paese e ancora oggi ormai in pensione, in un modo oltremodo zelante che gli ha facilitato la promozione ad Ambasciatore di grado, ha difeso e difende il nazionalismo ucraino, ignorando fatti come: le infiltrazioni dei nazisti che idolatrano Bandera, la divisione di un Paese tra Est e Ovest, la violazione dei principi europei quali autodeterminazione dei popoli, non ingerenza negli affari interni di un altro Stato, protezione delle minoranze linguistiche. Mi accusano di essere intollerante e di permettermi di giudicare gli altri. Il problema è che non siamo di fronte a una discussione neutra. Si tratta invece di scelte politiche che hanno implicato la distruzione di un Paese, la scomparsa di una generazione di giovani ucraini. Un diplomatico che ha tutti gli strumenti culturali per comprendere cosa sta avvenendo sulla scena internazionale, difende una guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia che utilizza il popolo ucraino come carne da macello. Che lo faccia per opportunismo carrieristico oppure per fede nel nazionalismo ucraino e nelle politiche neoconservatrici USA, in ogni caso si rende complice di crimini insopportabili. Con lui una classe dominante e di servizio europea che dovrà ora, come già indica Molinari, modulare il nuovo linguaggio e la policy in accordo con il nuovo Presidente degli USA. Se invece la classe europea si distanzierà da Trump e continuerà la retorica bellicistica, tentando di sabotare la mediazione, dovrà spiegare ai propri elettori a quali apparati obbedisce. Poteri opachi del Deep State americano, oligarchie delle armi e finanziarie?
Il Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha riassunto in modo chiaro la strategia statunitense in Ucraina. Ha riconosciuto le legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia di fronte all’espansionismo di una alleanza militare offensiva, la NATO. Ha quindi considerato inevitabile andare incontro alle ripetute (dal 2007) richieste di Mosca concernenti un’Ucraina neutrale. Con realismo ha riconosciuto la situazione sul campo militare e la necessità di concessioni territoriali, ha affermato che il peacekeeping per salvaguardare un eventuale cessate il fuoco non avrà garanzie statunitensi ma sarà compito europeo. L’art. 5 della NATO infatti non si applicherà. Chissà se l’Alto rappresentante per la politica Estera europea, Kaja Kallas, una dirigente europea bellicista, che ancora oggi sostiene una guerra che gli ucraini non vogliono combattere, vorrà invitare l’Estonia a fronteggiare al confine la Russia?
Freniamo l’indignazione, occupiamoci dell’analisi di queste preliminari aperture statunitensi. Esse sono positive, ristabilendo il dialogo irresponsabilmente interrotto dall’Amministrazione Dem. Il cammino è lungo. La Russia non rinuncerà alla sua vittoria e vorrà garanzie radicate in una architettura di sicurezza europea, che faccia venir meno gradualmente le sanzioni. La caduta del regime di Zelensky, fantoccio anglo-americano, è una condizione importante per realizzare gli obiettivi della cosiddetta “operazione speciale”. Il problema degli allargamenti NATO a Svezia e Finlandia, le armi nucleari in Romania e Polonia, il missile ipersonico Oreshnic, le armi nucleari in Bielorussia e i nuovi accordi START dovrebbero far parte dei colloqui. Il Presidente statunitense è un imprenditore spregiudicato, incolto, un narciso a volte imprevedibile: è il mostro partorito dal capitalismo finanziario e dalla illegalità dell’Impero Dem e dai loro accoliti europei.
Esiste tuttavia un’anima negoziatrice che, nell’interesse degli oligarchi USA al potere, potrebbe liberare l’Europa dal ruolo di contenimento della Cina sullo scacchiere indopacifico.
In Russia la giustificata mancanza di fiducia verso le élites occidentali è un dato di fatto. Putin potrebbe tuttavia essere indotto a concessioni territoriali, Zaporizhzhia o i territori a ovest del Dnepr, incentivato dalla cancellazione delle sanzioni, innanzitutto quelle relative all’esportazione di petrolio via mare, e per timore delle drastiche misure trumpiane che già sta esercitando forti pressioni sui BRICS, in particolare sul Sud Africa. Si tratterà di seguire gli sviluppi con la massima attenzione, senza facili illusioni, e nella consapevolezza che l’etica nelle relazioni internazionali e il perseguimento degli ideali umanistici sono ben lontani dalle due mafie internazionali al potere.
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