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Gaza, la scorta mediatica

Raffaele Oriani è un giornalista. Lungamente presente tra le firme de Il Venerdì di Repubblica poco dopo il 7 di ottobre 2023 decide di abbandonare la redazione: per non partecipare alla «scorta mediatica» che sosteneva – e ancora protegge – la carneficina compiuta dentro le mura di Gaza. È lo stesso Oriani a raccontare la sua storia in un libro divenuto necessario: Gaza, la scorta mediatica (People, 2024, pp. 128). Scavando tra le pagine dei quotidiani, l’autore mostra come la stampa sia divenuta l’ennesimo terreno di conquista senza confine. Nei giornali o nelle dirette televisive ritroviamo il procedere incessante e bene armato di un guerra laterale. È, infatti, negli editoriali o nei trafiletti che «gli israeliani vengono uccisi, [e] i palestinesi muoiono», e mentre «gli israeliani hanno subito una strage, i palestinesi vivono un dramma», così «se al principe William scappa di dire che a Gaza too many have been killed, ci pensa l’Ansa a rimediare traducendo troppi morti a Gaza». Potrebbe sembrare una questione da poco se non fosse che anche per tali sottigliezze perdoniamo il numero mostruoso dei morti di Gaza. E mentre protestiamo sommessamente all’Onu «per l’eccessiva durezza», orientiamo «in modo drastico il racconto dei fatti», riuscendo a guardare alla storia senza il peso delle nostre responsabilità. «Avessero raccontato così la guerra del Vietnam, – conclude Oriani – gli americani sarebbero ancora a spargere napalm sul Mekong». Quanto risalta dalla lettura di questo libro è allora l’emergere di una connivenza. E mentre una parte importante dei media continua a manipolare le parole attenuandole (persino là dove gli stessi politici le articolano per diffondere una specifica violenza), l’autoassoluzione della stampa diventa solo il battesimo della nostra indifferenza. Occorre adesso ridisporre le giuste domande, chiederci con franchezza: chi sono le vittime dei «combattimenti intensi»? (Perché abbiamo preferito dimenticarne il nome?) Che differenza passa tra il dichiarare un massacro o squallidamente tacerlo? E, ancora: cosa vogliono dire tubercolosi, scabbia e diarrea in una città senza ospedali? Insomma, cosa rimane di tutta la nostra geopolitica in una scuola distrutta? «Lo sterminio di Gaza, scrive a ragione Oriani, sarà esaminato a lungo anche nelle facoltà di Scienze della comunicazione». E verrà studiato non soltanto nelle menzogne diffuse quanto per il modo in cui esse, nei grandi canali di informazione, sono state coscientemente normalizzate. È l’idea di una censura tanto pervasiva da essere divenuta preventiva. È anche per questa ragione che occorre oggi prendere una posizione: perché quanto stiamo perdendo (quanto è in gioco nel trafiletto di un morto ammazzato o in una parola tirata via a secco) è molto più della nostra libertà. Dopo Gaza, occorrerà rifondare un intero sistema di diritto, ammettere l’orrore di chi ha ridotto la giustizia a una partita di pallone, per comprendere finalmente che normalizzare la morte di un bambino (a Gaza come nel mediterraneo!) è solo l’ennesimo crimine contro l’umanità. E mentre il panico morale si fa strumento di repressione politica – come ricorda il sottotitolo dell’ultimo libro di Donatella Della Porta (Guerra all’antisemitismo?, Altreconomia, 2024), – ci sentiamo protetti dietro a falsi problemi e non ci accorgiamo che, mentre discutiamo sulla possibile liceità dell’utilizzo del termine genocidio, un genocidio è stato appena compiuto. Il lavoro di Oriani è anche in questo senso necessario: per restituire verità storica contro le pagine di menzogne. Del resto, è dietro ad aggettivi arrotondati ad arte, dietro ai verbi stiracchiati alla buona, che si nasconde una parte violenta di questa guerra. E, senza armi di distruzione di massa, nella polvere di un paese distrutto, per ogni parola taciuta porteremo il peso di un cadavere inerme. Ci restano le parole lapidarie del pastore luterano di Betlemme, Muther Isaac, poste a sigillo del lavoro di Oriani: «Noi palestinesi ci risolleveremo, l’abbiamo sempre fatto, anche se questa volta sarà più difficile. Non so voi però, voi che siete rimasti a guardare mentre ci sterminavano. Non so se potrete mai risollevarvi».
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