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(O)scurati dalla guerra

La tua fede è cieca, sei un esaltato.
Andrei Sator in Tenet (2020)
L’Europa pare stia sprofondando in un delirio bellicista senza precedenti. Negli ultimi tre anni il sostegno all’Ucraina si è sistematicamente tradotto in una intollente ed isterica avversione per ogni pensiero contrario al mantra ripetuto da tutti i media dominanti: tutti i torti stanno da una parte, “c’è un aggressore e un aggredito” (curiosamente diventato poco popolare quando si parla dei palestinesi), invocare la pace è sbagliato e vile, e la sola soluzione per il conflitto è una vittoria militare di Kiev tramite un massiccio sostegno di invio di armi. Chi non la pensa così va marginalizzato e censurato. Oppure non gli si consente di presentarsi alle elezioni.
Per ogni osservatore appena dotato di un barlume di razionalità la guerra al confine est dell’Europa non era che uno degli scacchieri in cui erano impegnati gli Usa nel mondo nella complessa partita del mantenimento della loro declinante egemonia mondiale, attizzando il conflitto grazie alla pavida e ottusa collaborazione delle classi politiche europee, così contente di sacrificare il loro sviluppo economico sull’altare della più svilente subalternità ad un disegno geopolitico di cui non si vede alcun beneficio per i loro popoli.
Una parte consistente dell’opinione pubblica, invece – segnatamente quella “progressista” – legge la questione in termini morali e valoriali. Supremo dovere per essa è difendere l’Ucraina dal malvagio invasore, e il mezzo per farlo non può essere che la guerra combattuta dall’esercito dì Zelensky. Tanto il profilo geopolitico quanto gli interessi materiali sono ignorati, resta come causa della guerra unicamente la sete di potere dei vertici russi, il loro autoritarismo, e una generale disposizione di Mosca all’espansionismo. Sul piano politico una tesi particolarmente puerile. Su quello comunicativo polarizzante ed emotiva: chi non vuole rischiare una guerra atomica pur di stare dalla parte di Zelensky è un “putiniano”. Chi invoca il negoziato è complice del crimine di invasione. Pace diventa una parolaccia, sinonimo di menefreghismo, viltà, collusione con il “nemico”, amore per le dittature e l’autoritarismo. Chi non è d’accordo è pagato dal Cremlino e non gli si riconosce il diritto di espressione. Sembra di sentire gli interventisti ai tempi della Prima Guerra mondiale – che alla fine conseguirono il loro obiettivo, ma non andò benissimo.
Tale dogmatica subisce un colpo terrificante quando i vertici dell’Occidente, gli Usa di Trump cambiano idea: basta con la guerra, ora si deve trattare, e se Zelensky non è d’accordo lo si obbligherà.
Apriti cielo! Commentatori infuriati che rilanciavano con cura quasi liturgica ogni scemenza proferita da Biden si scatenano: indignazione, tradimento, vergogna, connivenza fra tiranni, e simili. Toni che non abbiamo sentito di fronte alla strage di palestinesi, nonché ai numerosi crimini statunitensi del recente passato. Chiunque ignorasse i fatti penserebbe che la nuova amministrazione statunitense si stia macchiando del più nefando crimine dai tempo di Caino.
Purtroppo il campo “progressista” pare oggetto del più sbalorditivo dei rovesciamenti immaginabili: avendo deciso che il sostegno militare all’Ucraina è un dogma inscalfibile, il pacifismo che non lo condivide diventa biasimevole. Non solo una pace garantita da Trump sarà cattiva perché lui è malvagio e reazionario; ma tutto il patrimonio del pacifismo storico col suo retroterra cristiano e socialista che privilegia il dialogo, il negoziato, la risoluzione non armata dei conflitti sulla guerra diventa viltà, resa imbelle, mancanza di determinazione, con un interessante excursus nel territorio più proprio delle destre identitarie e fasciste: secondo il “bastione dell’antifascismo” Antonio Scurati la guerra sarebbe addirittura nientemeno che “l’arte (il complesso di tecniche, metodi, invenzioni e talenti) che ha mosso la storia d’Europa”, “il luogo di genesi del senso” del continente europeo. Il lungo periodo di pace ci avrebbe devitalizzati, e ci ha privati della quota necessaria di “uomini risoluti a uccidere e a morire”. Sembra quasi di leggere Giovanni Papini, tanto per una concezione pressoché pretecnologica della guerra quanto per uno stile pesantemente arcaizzante (“questa nostra terra è stato uno scoglio euroasiatico popolato di guerrieri feroci, formidabili, orgogliosi e vittoriosi”). Raggelante.
E i mitici settant’anni di pace del processo di integrazione europeo? A questo giro non pervenuti. C’è da chiedersi quanta intellettualità “progressista” sia caduta in un simile abisso.
È in questo clima che cala l’appello del giornalista Michele Serra per una “manifestazione per l’Europa” rilanciato da un pugno di sindaci per una manifestazione a Roma. Piattaforma scarna, due slogan in croce della fuffa europeista più fulgida:
L’Europa è necessaria. Le sue divisioni e la sua debolezza politica sono ragione di grande preoccupazione per milioni di europei, che vorrebbero sentirla parlare con una sola voce. In un momento di così veloce mutamento degli assetti mondiali solo un’Europa più unita, più solida, forte dei suoi valori fondativi, pace, libertà, democrazia, e convinta che il suo processo federativo debba accelerare, può fare fronte al presente e preparare un futuro migliore.
Per dimostrare che gli europei ci sono, e bisogna dunque fare l’Europa, ci vediamo sabato 15 marzo a Roma in piazza del Popolo. Sarà una manifestazione di cittadini, aperta a chiunque, di qualsiasi fede politica, si senta europeo. Senza simboli di partito, solo il blu stellato della bandiera dell’Unione. Per dire a voce alta: l’Europa c’è già, e siamo noi.
Tale retorica ha un punto di forza: non dice nulla di concreto, e può agilmente accollarsi contenuti diversi. Ma il tempismo in politica è importante: è chiaro a tutti che come reazione all’annunciato disimpegno di Trump sul continente l’obiettivo sia una Ue più armata, come ha detto apertamente Von Der Leyen: “è l’ora del riarmo”, presentando una proposta di investimenti militari di 800 miliardi per i prossimi anni. Rearm Europe. Il presidente Macron ha parlato alla nazione per un quarto d’ora con un discorso di totale chiusura alla Russia, quasi l’anticamera di una dichiarazione di guerra, alludendo alla deterrenza nucleare del suo arsenale. Proprio mentre il nuovo cancelliere tedesco non ancora insediato annuncia misure per aumentare il bilancio militare della Germania.
Nel mondo politico italiano il piano della Commissione non ha avuto un consenso unanime. M5S («follia bellicista») e Lega («preoccupante deriva bellicista») lo hanno avversato, così come AVS («follia pura»); il Pd pur considerando positiva una dimensione europea per il militare, non lo considera ottimale, considerando che di difesa comune c’è ben poco, quanto una spinta per armare i singoli Stati. Entusiasti sono invece Azione di Calenda, Renzi e Forza Italia; favorevole FdI, con minor calore. Ed infatti nel voto al Parlamento europeo (solo simbolico dato che la “baronessa” ha visto bene di bypassarlo sul piano legale) hanno votato a favore Forza Italia e FdI; contro Lega, M5S, AVS (i cui parlamentari di riferimento sono presenti in due distinti gruppi, che hanno entrambi votato pollice verso). Il Pd si è spaccato, con metà a favore e metà astenuti come chiedeva la segreteria. A livello generale una risoluzione favorevole al Rearm è passata con 419 voti favorevoli, 204 contrari e 46 astenuti:

Perciò una rinnovata postura da autonomia strategica è all’ordine del giorno. In modo paradossale: la “pacifica” Europa cerca una via propria non all’acme del bellicismo Usa come nelle guerre di aggressione all’Afghanistan e all’Iraq, per esempio, ma per via del fatto che gli Stati Uniti vogliono chiudere una guerra (per i progressisti argomento più spendibile è la diffidenza verso la destra trumpiana attualmente al potere, ma appare più un pretesto per imbonire la base che un assunto da prendere in seria considerazione).
A breve termine non si vede come la Ue possa modificare le dinamiche della guerra in Ucraina, non potendo sostituire i rifornimenti statunitensi. Ma appare molto pericoloso questo incipit di un possibile percorso per forgiare una unità europea contro un nemico, la Russia. Una scorciatoia basata sulla paura (ci si unisce più facilmente contro le minacce comuni, vere o immaginarie che siano) ma non scontata, alla luce degli interessi diversi – spesso divergenti – degli Stati europei e delle loro oligarchie. Ma dobbiamo chiederci che tipo di continente ne verrà fuori: unito politicamente non si sa (ci sono molti dubbi), sicuramente falcidiato da una rinnovata austerità a favore di arsenali di morte, rinunciando ad ogni prospettiva di distensione verso il colosso russo, e reprimendo il dissenso con la censura. Una sorta di ucrainizzazione dell’Europa, se consideriamo la temperie creata dal leader che tanti hanno eletto a santino. Dobbiamo prendere atto che una parte dell’opinione pubblica ci spinge verso questo abisso, e la piazza del 15 marzo di Serra e dei sindaci non è che un tassello che ci avvicina ad esso.
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