La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.
Perché la Shoah è assimilabile al genocidio palestinese

È sempre un’operazione storicamente delicata assimilare eventi diversi, perché è difficile che si ripetano negli stessi termini. Eppure, in alcuni casi può aiutare a individuare dei denominatori comuni. In altri casi ancora, può servire a dare la dovuta attenzione su fenomeni che potrebbero essere sottovalutati nella loro drammaticità. Il paragone tra la Shoah e quanto sta avvenendo a Gaza può far storcere il naso a molti, eppure ci sono molte ragioni per mettere a confronto le due storie.
In primo luogo, siamo in presenza di uno stesso gruppo etnico-religioso che svolge ruoli diversi nelle due circostanze; vittima nell’una, carnefice nell’altra. L’anello di congiunzione non è indifferente perché, per molti, il primo evento consente un giudizio più che moderato sul secondo e una sorta di impunità per gli autori.
Il dramma della Shoah, nelle coscienze degli europei, è un qualcosa, allo stesso tempo, di sempre presente e di rimosso. Sempre presente, come senso di colpa collettivo. Eppure, incapace di svolgere il ruolo di monito per il futuro, affinché non si verifichino casi analoghi. È quindi anche un rimosso, perché un dramma analogo si sta riproducendo oggi in Palestina senza suscitare reazioni nel consesso dei governi democratici. È come se quel monito fosse troppo flebile per scongiurare il perpetrarsi della violenza omicida nei confronti dei popoli. Nel caso del genocidio in corso a Gaza, non solo lo sterminio di sei milioni di ebrei non ha scongiurato il ripetersi di eventi altrettanto drammatici, ma svolge persino il ruolo di attenuazione della gravità della strage attuale, proprio a causa della falsa coscienza degli europei. Ogni presa di posizione nei confronti del comportamento aberrante dello stato di Israele viene considerato una dimostrazione di antisemitismo. Ma è il gioco che le destre fasciste israeliane stanno perseguendo: identificare sionismo ed ebraismo. Con ciò mettendo in una posizione delicata non solo gli ebrei israeliani che si oppongono alla politica razzista di Israele, ma anche le comunità ebraiche nel mondo. Le immagini di Gaza, in realtà, non possono non riportare alla memoria le persecuzioni naziste. Le confische dei beni delle famiglie ebraiche equivalgono alla distruzione delle case dei gazawi. I tentativi di deportazione della popolazione palestinese alla deportazione degli ebrei. Le scene di carestia nella Striscia, con l’assalto alle poche derrate alimentari da parte di donne e bambini, ci riportano alle descrizioni che Primo Levi fa dell’inferno di Auschwitz.
Vi sono poi altre ragioni che ci portano a paragonare i due eventi. Il razzismo esplicito che fa da sfondo a entrambi è una di queste. Un razzismo, quello che guida la pulizia etnica palestinese, che viene fondamentalmente condiviso dai paesi dell’unione europea (non accenno agli Stati Uniti in quanto il razzismo è parte della storia di quella nazione fin dalla nascita). Il cordoglio profondo provato per lo sterminio degli ebrei è dovuto anche al fatto che le vittime erano a tutti gli effetti degli europei, degli occidentali. Il senso di identificazione è più forte in questo caso. Non si comprenderebbe altrimenti l’assenza di un analogo sentimento diffuso per la popolazione palestinese che da decenni subisce la sopraffazione da parte di Israele. Quest’ultimo ha goduto di un’impunità di fatto per tutte le violazioni delle risoluzioni ONU, che non sarebbe stata garantita ad altri paesi. La logica dei due pesi e due misure si giustifica proprio per l’identificazione dello stato sionista come un avamposto coloniale occidentale in terra araba.
Come ulteriore analogia, tra il genocidio degli ebrei nel ventesimo secolo e quello palestinese di oggi, possiamo richiamare l’indifferenza degli stati e delle opinioni pubbliche europee di fronte ai due fenomeni. Con la differenza che i nazisti tenevano segreta la loro operazione di sterminio, mentre oggi il dramma dei gazawi è sotto gli occhi di tutte le opinioni pubbliche mondiali. Se durante il conflitto mondiale era plausibile che non si fosse a conoscenza di quanto stesse avvenendo nei campi di concentramento tedeschi, oggi, la pulizia etnica dei palestinesi viene documentata in maniera tale che nessuno può dire di non sapere. Il che rende le opinioni pubbliche dei paesi democratici, in assenza di reazioni adeguate, complici con lo sterminio. E ciò ancor più per il fatto che molti di quegli stessi paesi democratici, fra i quali l’Italia, vi contribuiscono con la fornitura di armi.
In conclusione, richiamare la Shoah ha una doppia valenza. Per chi tende a rifiutare una similitudine, lo sterminio degli ebrei diventa una foglia di fico che copre tragedie ai danni di altri popoli. Per chi, invece, assimila la catastrofe novecentesca (Shoah) con quella odierna (Nakba, si noti come i termini abbiano lo stesso significato), l’intento è quello di condannare il ripetersi di drammi storici ed evidenziare l’atrocità di quello attuale, senza per questo voler sminuire quello passato.
La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!