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Il Re del Mondo nichilista


23 Giu , 2025|
| 2025 | Visioni

L’America sembra irredimibile, soprattutto quando c’è di mezzo Israele. Ma il vero tema è: Netanyahu pensa di essere il Re del Mondo sionista, e agisce di conseguenza. In realtà è l’Anticristo. Qual è il katechon oggi? L’unico che si intravede è forse Putin, ma non è in grado di impegnarsi su più fronti. Alla Cina è estranea questa logica, e poi – almeno per ora – sembrano interessati a gonfiarsi sfruttando la globalizzazione e a presidiare Taiwan. Per questo, ferocemente, il capo mondiale dei liberal-nichilisti neocon fa quello che vuole, e impone l’agenda all’Occidente.

Israele ha bisogno del nemico: essendosi costituito come Stato-guerra, non può farne a meno, verrebbe meno la sua ratio. Nel frattempo, questa norma fondamentale dell’inimicizia, che fonda la costituzione materiale dello Stato ebraico, si è fatta sempre più assoluta, generando una totalizzazione culturale e politica che spiega almeno in parte i mutamenti intervenuti all’interno della società israeliana (nel senso dell’estremismo, del fanatismo e dell’assuefazione alla disumanità), la politica di colonizzazione aggressiva dei territori palestinesi, gli slittamenti teocratici e anticostituzionali del suo ordinamento, che un pezzo di società israeliana contrastava, prima dell’escalation bellicista (molto funzionale a puntellare il potere di Netanyahu e a scongiurare il benché minimo  cambiamento).

Robert Kaplan ha sostenuto di recente che “il diritto internazionale è un inganno” e che Israele vive sotto una minaccia esistenziale, ciò che non possono dire gli europei, grazie agli Usa (e non all’ONU). Kaplan è il politologo neocon il cui cavallo di battaglia è rappresentato dallo schema “Marte contro Venere”: gli americani, figli di Ares, sono diversi dagli europei ormai divenuti venusiani (dopo la seconda guerra mondiale), e perciò incapaci di combattere, adagiatisi come sono sulla sicurezza garantita dallo zio Sam.  Uno schema un po’ semplicista e brutale, ma in parte vero, che viene riproposto oggi. Peccato che Kaplan lo abbia elaborato per giustificare la seconda guerra in Iraq, basata sulle bugie relative alle armi di distruzione di massa di Saddam (le uniche trovate furono quelle portate dagli americani invasori). Un regime, quello iracheno, che era stato abbondantemente finanziato a suo tempo, in funzione anti-iraniana, dagli americani: forse per questo c’era la necessità di eliminare Saddam velocemente, in un processo farsa, in modo che non avesse il tempo di parlare.  Analogo schema adottato con i mujahidin afghani e Bin Laden, prima sostenuti, finanziati e usati dalla CIA e dal Pentagono, poi demonizzati e attaccati perché pericolosi nemici della superiore civiltà occidentale. Un uso sistematico della menzogna per precostituirsi un alibi morale al fine di giustificare un disegno che non è solo imperialista, ma di dominio dell’umanità. Questa è l’ideologia americana e israeliana imperante da tempo. Peccato che gli altri, il mondo, recalcitrino. Mentre l’Europa è o asservita o afona. Il fatto che non si tratti più di egemonia, cioè di forza più consenso, ma di dominio, di mera forza, è uno degli indicatori della crisi di civiltà dell’Occidente, sulle cui cause, tanto materiali quanto culturali (tutte strutturali) ha fornito indicazioni significative Emmanuel Todd in La sconfitta dell’Occidente (Fazi, 2024).

Quella di Kaplan, e di tutto il mainstream occidentalista, è una narrazione di comodo. Israele ha fomentato i suoi “nemici” per poterli utilizzare contro coloro che, dall’altra parte, essendo disponibili a un compromesso, rappresentavano interlocutori più credibili e quindi più difficilmente delegittimabili (l’OLP di Arafat). Israele è la fonte dell’estremismo perché le è funzionale. Ha creato la disperazione di Gaza per cavalcare la pericolosità di Hamas (che ovviamente ha prevalso, perché era rimasta l’unica a occuparsi della povera gente della Striscia e appariva più ferma e intransigente dell’OLP, corrotta e indebolita, del dopo Arafat).  Questa opzione arrischiata e a sua volta estremista, da apprendisti stregoni, è stata percorsa sia per interessi, perché Israele non vuole alcuna reale soluzione negoziata né tantomeno uno Stato palestinese, sia per ragioni ideologiche. Netanyahu l’ha detto chiaramente: con me avete la garanzia che non ci sarà mai uno Stato palestinese. Non c’è alcun problema in Palestina, alcuna ingiustizia da risolvere, nessuna oppressione di un popolo a cui è stato tolto tutto. Se non fosse che i palestinesi esistono: per questo vanno annichiliti come popolo, ne devono essere estirpate le radici, la coscienza politica, storica e culturale. Quella promessa di Netanyahu è un’assicurazione sulla sua vita politica. Quasi a dire: sono quello che sono, lo so che molti di voi mi detestano, ma con me state tranquilli su questo punto fondamentale. Io sono la sicurezza di Israele. Allora bisogna chiedersi come sia possibile che sulle questioni di sicurezza sia così impossibile anche solo immaginare una via diversa, e la maggioranza della società israeliana stia con Netanyahu, cioè con l’orrore a Gaza e con le sistematiche violazioni da doppio standard del diritto internazionale perpetrate dal suo governo, anche a costo di mettere a rischio il mondo trascinandoci in una guerra totale.

Le ragioni di tale deriva dell’Occidente a trazione neoliberalconservatrice sono profonde. Non solo si è imposta la logica dell’inimicizia assoluta, ma c’è l’idea che gli altri o si assoggettano, oppure diventano automaticamente nemici esistenziali, da spazzare via. Una forma di eccezionalismo omologatore, che non tollera differenze, refrattarietà, autonomia: tutto lo spazio dell’immanenza globale deve essere saturato, non devono rimanere aperti pertugi per eccedenze “altre”. A partire dal luogo dell’Origine: il Medioriente. Un corto-circuito tra globale e arcaico, progressismo e tradizione, che rende attoniti perché pretende di non lasciare resti, residui di senso, monopolizzandolo l’unico “sacro” legittimo (inverato nella potenza del tecno-capitalismo bellico). L’unica trascendenza ammessa è la propria, con la quale si presume di unire il nulla della finanza e il Dio degli eserciti. La ricchezza e la forza sono segno della predilizione divina. Una visione discriminatoria e totalizzante che disconosce l’altro in quanto tale e lo inferiorizza.

L’ultimo che ci ha provato, a seguire una linea diversa, è stato ucciso da un estremista  israeliano appartenente ai circoli, al milieu culturale da cui provengono anche Netanyahu e certi ministri del suo governo appartenenti ai partiti religiosi fondamentalisti. Tra parentesi, è singolare come uno dei più forti e organizzati servizi segreti del mondo abbia mostrato delle strane falle, molto funzionali, in determinati momenti topici (dall’assassinio di Rabin al 7 ottobre). Ma, si sa, la stessa cosa è accaduta anche con altri servizi potenti ed efficienti, come quelli statunitensi. Per inciso, anche in Italia ne sappiamo qualcosa, se si pensa alla strategia della tensione, allo stragismo, al terrorismo e al caso Moro: certo, i nostri servizi e apparati di sicurezza erano meno forti e attrezzati, ma le spiegazioni legate a problemi di disorganizzazione si sono rivelate largamente insufficienti e perciò poco credibili, perché c’era ben altro, come ormai è emerso in molti processi e inchieste. Questi riferimenti non sono affatto fuori tema o divagazioni, perché si tratta di episodi riferiti a quella “guerra mediterranea” che ha molto a che fare con quanto è accaduto negli ultimi decenni e accade ancor oggi tra Mare Nostrum e Medioriente, all’insegna della guerra per l’energia: l’annunciata chiusura da parte dell’Iran dello stretto di Hormuz la dice lunga sullo sfondo geoeconomico dei conflitti e delle questioni geopolitiche nella regione.  Quando l’Italia aveva una politica estera (felicemente “doppia”, nel senso che curava gli interessi nazionali ed era consapevole della peculiare posizione geopolitica del Paese nel Mediterraneo), si dimostrava capace di un impegno oggi neppure pensabile a favore di soluzioni politico-diplomatiche pacifiche, per disinnescare le escalations, per non rimuovere la sofferenza del popolo palestinese. Impegno che attualmente non solo non si dà, ma appare del tutto fuori dall’orizzonte del dibattito pubblico del Paese: una regressione culturale prima ancora che politica imbarazzante. Il fatto che siamo in buona compagnia in Europa non può essere un alibi, anche perché la nostra storia, la nostra collocazione geopolitica, la nostra tradizione culturale di crocevia del Mediterraneo dovrebbero consigliare tutt’altro. La politica estera di Moro, di Craxi, persino di Andreotti era ben altra rispetto a quella attuale: tutta la politica italiana, non solo di sinistra ma anche cattolico-democratica, aveva questa profonda consapevolezza. Tanto che, allora, c’era qualcuno che non gradiva questa relativa autonomia italiana (seppur praticata nel rispetto del quadro generale delle alleanze) e la contrastava, anche con mezzi non ortodossi,  sia tra gli alleati, sia negli apparati interni   (nei settori più collegati agli ambienti oltranzisti occidentali). Bisogna riconoscere che la visione estremista e reazionaria, in ambito tanto geopolitico quanto interno, maturata in quegli ambienti al tempo della guerra fredda si è travasata nella temperie globalista, con gli opportuni aggiustamenti ma senza mutare di segno, e ha oggi preso del tutto il sopravvento, come se tutti si fossero messi sulle orme della deriva reazionaria di Israele. In America tale tendenza non nasce certo con Trump, ma ha radici risalenti, e trova con i neocon dopo l’11 settembre la propria consacrazione, finendo per permeare di sé, o comunque condizionare pesantemente, anche il Partito democratico, unendo establishment dem e repubblicano (non dimentichiamo che il clan Bush, Dick Cheney e altri neocon si sono schierati con Kamala Harris). Lo scontro di civiltà come fase estrema della globalizzazione, tentativo di reagire alla sua crisi rilanciandola militarmente.

Israele è il vero punto dove Trump è vulnerabile: non può mettersi contro Israele, ma il suo movimento è contrario a nuove guerre. Non a caso Vance e Bannon hanno dato espressione a questo disagio. Quindi il Deep State neocon-dem potrebbe aver battezzato il conflitto Israele-Iran come il punto d’attacco per imporgli una politica estera che non vuole fare. Cioè il ritorno allo schema che domina da decenni l’operato dell’apparato militare-industriale e di sicurezza USA. È sempre più evidente che c’è una spaccatura tra Deep State e MAGA, e anche all’interno dell’amministrazione Trump, che nonostante alcuni accorgimenti presi pare essere stata infiltrata dai neocon. È vero che, come dice Lucio Caracciolo, se ci fossero stati i dem alla Casa Bianca non ci sarebbe stata neppure discussione. Con Trump c’è il problema di convincere la base MAGA, Vance e altri fedeli al “mandato” popolare. Il Presidente tycoon subisce pressioni, rilutta, ondeggia, ma alla fine un po’ di bombe Bunker-Buster sui siti nucleari iraniani le sgancia, adottando – come un qualsiasi dem o repubblicano asservito al Deep State guerrafondaio – una propaganda imbonitoria ripugnante (dal MAGA al MIGA), come quella del video sulla Riviera di Gaza. Al solito, si aggiusta pragmaticamente. Ma il punto è che stavolta era impossibile dire di no. Quando c’è di mezzo Netanyahu e quello che rappresenta neppure il trumpismo può nulla (un dato politicamente inquietante, al netto di eventuali argomenti di “persuasione” che non possiamo conoscere: siamo sicuri che certe “oscillazioni” siano solo frutto di confusione o addirittura instabilità psicologica? Mi pare una spiegazione semplicista, rivelativa di un’impressionante caduta della capacità di analisi delle questioni politiche). In ogni caso, stavolta potrebbe essere difficile convincere la base elettorale MAGA. Intanto, il mondo sta a guardare, con il fiato sospeso. È chiaro che ormai può accadere di tutto, dall’allargamento del conflitto a un pesante rischio di ritorsioni e attentati, fino a una situazione totalmente fuori controllo.  Se i neocon e il Deep State vinceranno questa partita imponendo un coinvolgimento integrale, fino a conseguenze estreme, dell’amministrazione Trump nella guerra totale di Netanyahu in Medioriente (come purtroppo in queste ore angosciose sembra possibile se non probabile), il riassorbimento dell’anomalia Trump in politica estera sarebbe quasi compiuto (con tutte le conseguenze del caso anche su altri scacchieri).  A quel punto i pezzi della guerra mondiale potrebbero tornare a saldarsi.      

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