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La rete occulta che finanzia le guerre di Israele


24 Giu , 2025|
| 2025 | Visioni

L’attacco israeliano all’Iran iniziato il 13 giugno intensifica l’attenzione sullo scacchiere mediorientale nel dibattito pubblico, in particolare sui profili geopolitici e militari. Il primato del fronte ucraino, già scalzato dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, sembra definitivamente affossato. Infatti Zelensky si affanna nelle esternazioni, invocando di non essere dimenticato. Inutilmente. Già il fatto che il presidente Putin venga considerato da Trump come possibile mediatore fra Israele e Iran lo indica chiaramente.

Se tutta l’attenzione è rivolta alle politiche militari di Tel Aviv, quasi nessuno ha posto attenzione al dibattito interno e alla componente che a ben vedere è centrale per sostenere qualsiasi tipo di guerra: il bilancio statale e l’economia.

La guerra mette sotto pressione l’economia

Come molte economie avanzate, Israele ha sofferto per la crisi del Covid, ma dopo il rimbalzo dell’anno successivo gli indicatori sembravano stabili, anche se con alcune difficoltà. Prima della guerra le previsioni di crescita per il 2023-2024 si aggiravano intorno al 3% del pil, con il mercato del lavoro che registrava un basso tasso di disoccupazione al 3,5%, e le aspettative di un’inflazione moderata, intorno al 3,8%. Nel 2023 si accusavano le ripercussioni della forte conflittualità verso il governo di Netanyahu ma niente più delle avvisaglie di una moderata flessione, che certo non facevano presagire una catastrofe economica. 

Dallo scorcio dell’anno le prospettive si sono fatte più cupe, con la crescita  crollata a 1,8% del pil nel 2023 ed evitando per poco la recessione nel 2024 con uno smilzo +0,8%. I motivi di tale dinamica sono i seguenti:

  • la guerra si è svolta per la prima volta su territorio israeliano, danneggiando le infrastrutture e paralizzando l’attività economica nella zona sud;
  • l’apertura del fronte libanese a settembre 2024 ha interrotto i processi produttivi anche nei centri del nord;
  • la chiamata alle armi ha sottratto forza lavoro molto qualificata alle aziende, trasferendone le capacità all’esercito.
  • Il settore turistico ha visto un collasso senza precedenti, con danni stimati recentemente pari a 3,4 mld$ dall’ottobre 2023.
  • Le restrizioni per ragioni di sicurezza a circa 160mila palestinesi hanno portato alla carenza di manodopera in molte aziende, di cui 60mila erano considerate a rischio chiusura.
  • Consumi interni, export  e investimenti sono crollati.

Le conseguenze a lungo termine sono difficili da valutare, ma non mancano previsioni profondamente preoccupanti. Una fonte molto filo Israele come la RAND ha indicato a ridosso dell’attacco di Hamas una possibile perdita di 400 mld $ nel decennio successivo. 

Aumento spese e deficit

 Nello stesso periodo le spese sono aumentate a dismisura. Il bilancio militare prima dell’ottobre 2023 ammontava a circa 17 mld $, nel 2024 ha fatto un balzo a 28. Si calcola che il costo della guerra fino all’invasione del Libano sia arrivato a 86 mld. 

La nuova fase dell’attacco all’Iran iniziata il 13 giugno vede costi ancora più esplosivi. Il Wall Street Journal ha calcolato che il conflitto con la Repubblica Islamica può costare 200 milioni $ al giorno; l’Aaron Institute for Economic Policy , importante pensatoio israeliano, ha invece indicato la sbalorditiva cifra di 12 miliardi $ per un mese di guerra.

Tutto ciò ha significato un aumento del deficit di bilancio, che da un modesto avanzo dello 0,3% del pil nel 2022 è sprofondato in territorio negativo (maggiori le uscite delle entrate) a -5% nel 2023 e -8,2% l’anno scorso, quasi a livello della crisi Covid. Ed infatti tutte le agenzie di rating hanno declassificato il paese nelle loro valutazioni. Il debito pubblico del paese è aumentato in soli due anni di nove punti, sfiorando il 70% sul pil. Un livello sicuramente più basso del paesi europei e Usa ma che il governatore della Banca Centrale ha chiesto di abbassare in previsione di ulteriori aumenti del budget militare.

A marzo scorso la coalizione al potere ha approvato il più vasto bilancio della storia del paese, di 203,5 mld $. La spesa nell’anno precedente era stata di 178 mld, di cui poco meno di un senso dedicata alla guerra. Il ministero delle Finanze, controllato da un estremista che pezzi importanti dell’establishment come ex primi ministri non esitano a definire estremista o peggio, ha mantenuto tutte le spese per i gruppi ultraortodossi e comprimento il salario dei dipendenti pubblici, senza applicare alcune tassa aggiuntiva per i redditi più alti o per le imprese.

Il bilancio, ovviamente, non ha tenuto conto delle spese relative alla fase attuale, il che fa pensare che la situazione nel prossimo futuro sarà peggiore.

Chi finanzia il deficit

Per fronteggiare tale imponente deficit lo Stato emette titoli pubblici, di cui l’80% viene acquistato da soggetti interni. Per legge la Banca Centrale non può finanziare direttamente lo Stato comprandone i bond, ma è molto attiva sul mercato secondario tenendo bassi i tassi d’interesse. Si tratta del classico meccanismo inviso ai fautori dell’ortodossia, per cui l’istituto pubblico costruisce una robusta domanda, facendo crollare i prezzi.

Una quota dei titoli pubblici viene invece acquistata all’estero, per circa il 20% del deficit. Per piazzarli lo Stato ebraico gode di una rete di istituti finanziari conniventi. 

La prima da considerare si chiama Development Corporation for Israel, più conosciuta come Israel Bonds. Si tratta di una semisconosciuta istituzione paragovernativa controllata da Tel Aviv che esiste dagli anni Quaranta ed ha contribuito in modo significativo al finanziamento del paese. Ha sede a New York e ha il compito di piazzare i titoli israeliani negli Usa (e non solo). Il suo ruolo nel finanziamento dello Stato ebraico è stato importante: si calcola che abbia procurato a Tel Aviv prestiti per circa 48 mld $, specialmente nei momenti di crisi, vale a dire durante le guerre, in cui gli investitori sono più renitenti e le spese per lo Stato sono più ingenti. Una parte importante dell’attività di questa società è consistita nel piazzare i titoli presso gli amministratori dei singoli Stati federali. Una recente indagine del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi ha mostrato, sulla base di una quantità enorme di mail ottenute, le pratiche poco rigorose con cui venivano convinti i funzionari a dirigere i fondi statali verso le casse dello Stato ebraico: sono stati documentati viaggi in Israele pagati da Tel Aviv, e altri tipi di “omaggi”.

Israel Bonds si calcola fornisca in media un miliardo $ l’anno. Ad essa sono collegate due società che operano, rispettivamente, in Canada (Canada‑Israel Securities, Ltd) e Uk (Development Corporation for Israel, Ltd) con modalità analoghe. 

Un’indagine condotta dal gruppo di ricerca finanziaria Profundo con sede nei Paesi Bassi e pubblicata lo scorso gennaio dalle ONG olandesi BankTrack e PAX ha individuato il ruolo di sette importanti banche internazionali che hanno fatto da intermediari per titoli israeliani corrispondenti al valore di 19 mld $ da ottobre 2023 a gennaio 2025: Bank of America, Deutsche Bank, BNP Paribas, Citi, Barclays e JPMorgan Chase, con al primo posto indiscusso Goldman Sachs. 

La rete occulta che finanzia le guerre di Israele

L’indagine mostra anche un certo numero di gestori patrimoniali che hanno comprato titoli finanziando Israele per 2,7 mld $.

La rete occulta che finanzia le guerre di Israele

Va notato che alla testa di questa seconda lista c’è la tedesca Allianz con quasi un miliardo di titoli. Ma al quarto posto c’è l’italiana banca Bper, il quarto gruppo bancario del nostro paese, che ha visto bene di non rispondere alle richieste di chiarimento avanzate da AltrEconomia.

Che si tratti di titoli che vanno a finanziare la guerra è fuori di dubbio, posto che i loro stessi promotori li pubblicizzano aggressivamente come aiuto ad un Israele in guerra:

La rete occulta che finanzia le guerre di Israele

Da documenti ufficiali di Israel Bonds risulta che esistono accordi per la facilitazione dell’emissione di tali titoli in Irlanda, Francia e Germania. 

Il partito socialdemocratico irlandese, nella persona del deputato Cian O’Callaghan ha presentato lo scorso 11 giugno una mozione parlamentare sostenuta anche da Sinn Féin, Labour, e People Before Profit per impegnare il governo nell’approntare una legislazione volta ad obbligare la Banca Centrale irlandese a porre fine alla facilitazione per la vendita di questi titoli. La maggioranza che sostiene il 34simo Governo della Repubblica d’Irlanda, una coalizione di centro-destra guidata dal premier Martin, che pure aveva accusato Israele di crimini di guerra. 

Conclusione

L’esito della guerra contro l’Iran è incerto mentre scriviamo. Se Israele è riuscito ad infliggere colpi decisivi ai suoi nemici dall’alto di una superiorità militare netta, è impensabile che possa continuare ad aprire fronti (Gaza, Libano, Siria, Iran, Houthi) senza pagare un costo su una prospettiva temporale più ampia, a prescindere dai risultati strategici conseguiti – che al momento non sembrano fioccare – per quanto gli alleati occidentali possano pompare aiuti militari e finanziari. Il costo in termini non solo economico-finanziari ma anche sociali lo pagheranno tutti gli israeliani, a prescindere dal sostegno al governo estremista di Netanyahu.

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